Celentano contro i giornali cattolici. I commenti dei direttori Tarquinio e Sciortino
e del prof. Morcellini
''Quando l'ignoranza prende il microfono per diffondere il suo messaggio è doveroso
replicare, con serenità e rispetto delle persone, per amore della verità''. Così il
Sir, agenzia dei vescovi italiani, giudica l’esibizione di Adriano Celentano nella
puntata d’esordio di ieri del 62.mo Festival di Sanremo. Reazioni si sono registrate
a vari livelli, specie per l’attacco del cantante ai giornali cattolici, in particolare
Avvenire e Famiglia Cristiana, accusati di “ipocrisia e di parlare di politica e non
di Dio’’. Per il Copercom, “Avvenire e Famiglia Cristiana rappresentano un pezzo di
società civile, preti e frati compresi, che merita semplicemente rispetto''. ''Per
la Rai che si vanta ad ogni pie' sospinto di essere la più alta espressione del servizio
pubblico, quella di ieri sera – scrive in una nota Domenico Delle Foglie, presidente
del coordinamento delle Associazioni cattoliche per la Comunicazione - è stata un'occasione
sprecata”. E Sanremo ormai, è opinione diffusa, non sembra più essere luogo dove ascoltare
musica. Luca Collodi ha intervistato Marco Tarquinio, direttore di Avvenire
''Di tutto
ci si puo' accusare ma non di non parlare di Dio''. Con queste parole il direttore
di Famiglia Cristiana don Antonio Sciortino replica alle parole rivolte ieri da Adriano
Celentano al periodico da lui diretto. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato
Dal punto
di vista della comunicazione sociale, l'intervento di Celentano a Sanremo che riflessioni
può far fare? Luca Collodi lo ha chiesto a Mario Morcellini, direttore del Dipartimento
di Comunicazione e Ricerca sociale dell’Università La Sapienza di Roma
.R. – La prima
considerazione è sul piano strettamente comunicativo. Per come sta funzionando la
comunicazione in Italia – e cioè malissimo – occorre dire che Celentano è perfettamente
organico: la sorpresa, l’agguato agli spettatori, tutto quello che prepara un evento
televisivo, devo dire che dal punto di vista della spettacolarità non c'è niente da
dire. Il problema cambia se si affronta la questione dei contenuti e anche dei modelli
culturali che rappresenta Celentano in questo momento, e devo dire ieri in particolare,
perché in altre occasioni aveva suggerito anche analisi e, forse, prospettive diverse.
Ieri, l’attacco ai giornali cattolici – mi soffermo solo su quelli – è stato del tutto
impensabile e folle, soprattutto per l’impatto sul ruolo che questi giornali hanno
nella vita sociale. E’ come se, a parità di condizioni, senza conoscere i contenuti
– perché altrimenti alcune di quelle frasi non sarebbero state dette – ci fosse stato
una specie di agguato premeditato: probabilmente con l’idea che in questo momento
i "salotti buoni" della comunicazione e i potentati della comunicazione avrebbero
gradito un attacco contro la Chiesa.
D. – Professor Morcellini, l’episodio
di Sanremo di ieri sera ci dimostra quanto sia in crisi il modello comunicativo, che
rispecchia un modo di pensare e una cultura di un Paese…
R. – Mi sembra addirittura
di poter dire che è fuori controllo, nel senso che uno dei problemi che ha questo
Paese è di non accorgersi di quale sia la disposizione dei poteri reali, i cosiddetti
“poteri forti”. La comunicazione è diventata intoccabile, i conduttori televisivi
possono dire qualunque cosa, inventare qualunque personaggio politico… E noi abbiamo
ripetute prove che soggetti semisconosciuti sono diventati sindaci, presidenti di
Regione e forse anche qualcosa di più. Direi che Celentano rappresenta, da questo
punto di vista, la prova di quello che sta succedendo nel mondo della tv: lui è più
forte di qualunque regola circostante, è più forte anche delle reazioni del pubblico,
anche se io credo che da ieri il processo di riconsiderazione sul personaggio comincerà
più severamente che in passato.
D. – La vicenda di Celentano a Sanremo di
ieri è la rappresentazione di un populismo che avanza contro tutto e tutti oggi in
Italia, per una crisi di valori, di partiti e forse anche della democrazia più in
generale? R. – E’ una somma tra populismo e public ignorance, della quale – purtroppo
– i media, che ci avevano promesso di aumentare i saperi di tutti, sono diventati
i principali responsabili. Non è un caso che le istituzioni come la scuola e l’università
siano sotto attacco. Non è un caso che gli investimenti sulla cultura siano in declino:
tutto si sta spostando su una parvenza di intrattenimento pubblico, di gioco, che
alla lunga significa recidere le basi stesse della società. Non a caso, l’aspetto
fondamentale del nostro tempo è la sfiducia e l’incattivimento nei confronti degli
altri.
D. – C’è qualcuno che ha interesse a mantenere questa situazione? R.
– Io direi che più che un interesse sembra essere incapacità culturale di usare sapientemente
il proprio ruolo. Io penso che in questo Paese sia arrivato il momento di riflettere
attentamente sul potere che abbiamo lasciato gestire agli uomini della comunicazione.