2012-02-14 08:09:23

Comunità internazionale al lavoro per risolvere la crisi in Siria. Commento del rettore del Pontificio collegio armeno




In Siria si continua a morire. Anche ieri altre vittime ad Homs, a causa dei bombardamenti delle forze governative. Una situazione che ha suscitato la denuncia dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Diritti Umani sarebbero oltre 300 le persone uccise dalle violenze – afferma il Commissario Navi Pillay – solo negli ultimi dieci giorni, mentre si avvicina a 6 mila il numero globale delle vittime. Sempre più grave la crisi umanitaria. E la comunità internazionale aumenta gli sforzi per risolvere la situazione. Solo la Cina parla della crisi siriana come “affare interno di Damasco”. Il servizio di Marina Calculli:

Benedetto XVI, domenica all’Angelus, aveva lanciato un “pressante appello a porre fine alla violenza e allo spargimento di sangue”. Al microfono di Giada Aquilino, ce ne parla mons. Kevork Noradounguian, armeno della Siria, originario di Aleppo, rettore del Pontificio collegio armeno di Roma: RealAudioMP3
R. – Sua Santità ha letto davvero i cuori e le menti della popolazione della Siria, perché è auspicio di tutti i cittadini siriani porre fine alle violenze e agli spargimenti di sangue ed incontrasi attorno ad un tavolo.

D. – Benedetto XVI ha ricordato nella preghiera le vittime, “fra cui - ha detto - ci sono molti bambini”. Qual è la situazione sul terreno al riguardo?

R. – Una volta saltata la tappa del dialogo, ci si è rivolti alle armi e ora ci vanno di mezzo tutti. Le armi non hanno una religione, non hanno coscienza e non distinguono fra innocenti, bambini, donne, vecchi, anziani. Purtroppo queste sono le leggi della guerra.

D. – Come vivono i cristiani in Siria?
R. – In Siria, noi siamo cresciuti e abbiamo avuto un’educazione col concetto di cittadinanza laica: da noi si dice sempre “la patria è di tutti, la religione è di Dio”. Quindi quello che vive un cristiano in Siria è quello che vive ogni cittadino siriano, che sia musulmano, sunnita o sciita. Viviamo tutti come cittadini e quello che accade in Siria lo viviamo allo stesso modo: è sempre la stessa cosa per tutti.

D. – Da più parti si è parlato del rischio di una ‘irachenizzazione’ del conflitto, con l’accentuazione delle divisioni tra le varie confessioni religiose: che rischi corre la minoranza cristiana in Siria?

R. – Vedo un po’ difficile che qui il caso dell’Iraq si ripeta. Certamente il rischio c’è, diciamo che è minore: se si continua ad appoggiare una parte contro l’altra, se si continua sempre a giocare sulle differenze religiose, certo anche le forze dell’uomo possono non bastare. Fino a questo momento non vedo tale rischio: la cristianità è proprio nel profondo; la religione è una relazione con Dio e non con lo Stato. Se continuano ancora questi fenomeni, con la strada del dialogo chiusa, certo che poi possono anche risvegliarsi conflitti intercomunitari.

D. – La comunità cristiana in Siria come è formata?

R. – Ci sono gli armeni, ci sono i greco-cattolici, ci sono i caldei, ci sono tutte le Chiese d’Oriente: ci sono le Chiese orientali nei due rami, il ramo cattolico e il ramo ortodosso, come greco-cattolici e greco-ortodossi; siriaco-cattolici e siriaco-ortodossi.

D. – Quanti sono i cristiani oggi in Siria?

R. – Si parla di circa un milione, circa il 7-8 per cento della popolazione, che oggi è di circa 17-18 milioni di abitanti.
D. – Ancora nelle ultime ore un messaggio di sostegno di Al Qaeda alla rivoluzione siriana: Al Zawahiri ha esortato i siriani a non contare sull’Occidente, sugli Stati Uniti, sui governi arabi o sulla Turchia. C’è il pericolo di infiltrazioni terroristiche nel futuro del Paese?

R. – Penso che già ci siano. Ci sono cose preparate, progettate e sponsorizzate dal di fuori.

D. – La Lega Araba, l’Onu, la comunità internazionale in generale: che aiuto può arrivare a questo punto alla Siria?
R. – Possono fare tutto e tanto, possono impegnarsi per cercare di convocare tutti attorno ad un tavolo, per arrivare al dialogo. (mg)










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