Siria. Sempre più drammatica la situazione ad Homs
È una strage senza fine quella che si sta consumando in Siria e in particolare nella
città di Homs, dove proseguono i bombardamenti e l’assedio da parte delle forze del
presidente Assad. Sentiamo Marina Calculli:
Sulla situazione
Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Alberto Ventura,
professore di Storia dei Paesi islamici all’Università della Calabria:
R.
– E’ chiaro che se non c’è un intervento esterno, forte, deciso, la repressione potrà
continuare, anche se non credo possa proseguire indefinitamente. La situazione attualmente
è già sufficientemente drammatica, prima o poi qualcosa si dovrà sbloccare. Purtroppo
la Siria, a differenza di altre zone del mondo arabo che sono state di recente oggetto
di ribellioni, di rivolte, di cambiamenti politici, non dispone di grandi risorse
economiche territoriali che spingano le grandi potenze a intervenire. La Siria è più
un luogo dove si sta svolgendo una specie di grande gioco di forza internazionale,
in cui abbiamo la Cina e la Russia che non vogliono rinunciare al loro ruolo di arbitri
contro gli Stati Uniti e l’Europa, e dove ci sono anche altri attori minori, che però
richiedono sempre più di essere presenti come l’Iran, ma soprattutto la Turchia. Ankara
in questo momento è un attore emergente sia dal punto di vista economico sia dal punto
di vista politico, perché si è smarcata da una vecchia alleanza con Israele e vuole
tornare a recitare in quell’area un ruolo che per troppo tempo è stato negato.
D.
– La Turchia ha proposto una conferenza internazionale sulla Siria. Secondo lei una
proposta di questo tipo sarà accettata e che risvolti potrebbe avere?
R.
- Sarebbe bene accettarla e sarebbe un avallo per una politica, quella turca attuale,
che tutto sommato sta dimostrando come coniugare i principi islamici - quelli ai quali
si riferisce il partito attualmente al governo, l’AKP - e la garanzia di libertà democratiche,
di rispettare la laicità dello Stato...
D. – Insomma da una parte la
Turchia guarda all’Europa e dall’altra al mondo arabo...
R. – L’esperimento
turco, che pure indubbiamente, ha qualche ombra, potrebbe essere un modello benefico
per tanti altri Paesi islamici che sono coinvolti in questo grande rivolgimento che
vediamo oggi. Quello che è successo in Tunisia, in Egitto e poi in Libia, non sempre
è rassicurante, nel senso che quando poi si è arrivati a far cadere questi regimi,
sicuramente dittatoriali, e poi si sono fatte libere elezioni abbiamo visto che i
partiti che hanno vinto - penso più alla vittoria dei Fratelli musulmani in Egitto
che non al partito islamico in Tunisia - non danno quelle garanzie che ci rassicurano,
ma prospettano scenari che possono diventare particolarmente inquietanti, soprattutto
per le divisioni interne che ci sono in questi Paesi con piccole comunità non musulmane.
La convivenza è stata sempre molto pacifica, penso all’Egitto in particolare, fino
a che la situazione internazionale non ha creato la recrudescenza di fondamentalismi
e radicalismi che hanno portato talvolta a confronti. Le ribellioni arabe, in particolare
in Egitto, non avevano un carattere confessionale: cristiani e musulmani avevano collaborato
fianco a fianco per abbattere il regime di Mubarak, però subito dopo sono cominciati
i problemi. La minoranza cristiana non si sente più molto tranquilla. Immaginate quello
che può succedere in Siria dove le confessioni cristiane e le varie minoranze sono
tantissime e dove potrebbe scoppiare un caos etnico, religioso, alla fine incontrollabile.
La Turchia in questo senso sta dando messaggi molto importanti.
D. –
Obama ha detto che Assad deve dimettersi…
R. – Non credo che Assad possa
essere intimorito. Come abbiamo visto, come è successo con Gheddafi, la replica è
che esiste un complotto internazionale organizzato dalle grandi potenze occidentali
per rovesciare questi regimi; si minacciano rigurgiti di fondamentalismo islamico…
E’ uno scenario che abbiamo già visto in Libia e che vediamo riproporsi qui. Sicuramente
sono personaggi, sistemi di potere, che non cedono di fronte a qualche minaccia, per
quanto autorevole, come possa essere quella del presidente degli Stati Uniti. (bf)