Siria. Bombe contro Homs: oltre 40 morti. Obama: violenza orrenda, Assad si dimetta
In Siria non si arresta la repressione nei confronti dell'opposizione. In 24 ore sono
state uccise, secondo fonti non confermate, quasi 120 persone. Homs è la città maggiormente
bersagliata dalla truppe fedeli al presidente Assad: oggi sono oltre 40 i morti. Il
segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha annunciato che presto prenderà il via
una missione congiunta delle Nazioni Unite insieme alla Lega Araba che oggi è tornata
nel Paese asiatico. Intanto, il presidente Usa Obama chiede le dimissioni di Assad
affermando che questa "violenza orrenda" deve finire mentre la Germania ha espulso
4 diplomatici siriani. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Alberto
Ventura, professore di Storia dei Paesi islamici all’Università della Calabria:
R. – E’ chiaro
che se non c’è un intervento esterno, forte, deciso, la repressione potrà continuare,
anche se non credo possa proseguire indefinitamente. La situazione attualmente è già
sufficientemente drammatica, prima o poi qualcosa si dovrà sbloccare. Purtroppo la
Siria, a differenza di altre zone del mondo arabo che sono state di recente oggetto
di ribellioni, di rivolte, di cambiamenti politici, non dispone di grandi risorse
economiche territoriali che spingano le grandi potenze a intervenire. La Siria è più
un luogo dove si sta svolgendo una specie di grande gioco di forza internazionale,
in cui abbiamo la Cina e la Russia che non vogliono rinunciare al loro ruolo di arbitri
contro gli Stati Uniti e l’Europa, e dove ci sono anche altri attori minori, che però
richiedono sempre più di essere presenti come l’Iran, ma soprattutto la Turchia. Ankara
in questo momento è un attore emergente sia dal punto di vista economico sia dal punto
di vista politico, perché si è smarcata da una vecchia alleanza con Israele e vuole
tornare a recitare in quell’area un ruolo che per troppo tempo è stato negato.
D.
– La Turchia ha proposto una conferenza internazionale sulla Siria. Secondo lei una
proposta di questo tipo sarà accettata e che risvolti potrebbe avere?
R. -
Sarebbe bene accettarla e sarebbe un avallo per una politica, quella turca attuale,
che tutto sommato sta dimostrando come coniugare i principi islamici - quelli ai quali
si riferisce il partito attualmente al governo, l’AKP - e la garanzia di libertà democratiche,
di rispettare la laicità dello Stato...
D. – Insomma da una parte la Turchia
guarda all’Europa e dall’altra al mondo arabo...
R. – L’esperimento turco,
che pure indubbiamente, ha qualche ombra, potrebbe essere un modello benefico per
tanti altri Paesi islamici che sono coinvolti in questo grande rivolgimento che vediamo
oggi. Quello che è successo in Tunisia, in Egitto e poi in Libia, non sempre è rassicurante,
nel senso che quando poi si è arrivati a far cadere questi regimi, sicuramente dittatoriali,
e poi si sono fatte libere elezioni abbiamo visto che i partiti che hanno vinto -
penso più alla vittoria dei Fratelli musulmani in Egitto che non al partito islamico
in Tunisia - non danno quelle garanzie che ci rassicurano, ma prospettano scenari
che possono diventare particolarmente inquietanti, soprattutto per le divisioni interne
che ci sono in questi Paesi con piccole comunità non musulmane. La convivenza è stata
sempre molto pacifica, penso all’Egitto in particolare, fino a che la situazione internazionale
non ha creato la recrudescenza di fondamentalismi e radicalismi che hanno portato
talvolta a confronti. Le ribellioni arabe, in particolare in Egitto, non avevano un
carattere confessionale: cristiani e musulmani avevano collaborato fianco a fianco
per abbattere il regime di Mubarak, però subito dopo sono cominciati i problemi. La
minoranza cristiana non si sente più molto tranquilla. Immaginate quello che può succedere
in Siria dove le confessioni cristiane e le varie minoranze sono tantissime e dove
potrebbe scoppiare un caos etnico, religioso, alla fine incontrollabile. La Turchia
in questo senso sta dando messaggi molto importanti.
D. – Obama ha detto che
Assad deve dimettersi…
R. – Non credo che Assad possa essere intimorito. Come
abbiamo visto, come è successo con Gheddafi, la replica è che esiste un complotto
internazionale organizzato dalle grandi potenze occidentali per rovesciare questi
regimi; si minacciano rigurgiti di fondamentalismo islamico… E’ uno scenario che abbiamo
già visto in Libia e che vediamo riproporsi qui. Sicuramente sono personaggi, sistemi
di potere, che non cedono di fronte a qualche minaccia, per quanto autorevole, come
possa essere quella del presidente degli Stati Uniti. (bf)