Ancora violazioni verso le donne in Afghanistan e nuovo attentato a Kandahar. Intervista
con Luca Lo Presti
In Afghanistan continuano le violazioni nei confronti delle donne. E’ la denuncia
di Luca Lo Presti, presidente della fondazione Pangea Onlus, impegnata da anni
nel sostegno al mondo femminile. Di oggi la notizia di 9 vittime nell’ennesimo attentato
a Kandahar, condannato fermamente dal presidente Karzai. Permangono dunque episodi
di violenza di vario tipo, nonostante ci siano stati alcuni miglioramenti come ci
conferma lo stesso Lo Presti, tornato da poco dall’Afghanistan. L’intervista è di
Debora Donnini:
R. – Abbiamo
visto tempi migliori rispetto ad oggi, perché gli anni 2006, 2007 e 2008 facevano
percepire molto più ottimismo. Oggi l’incertezza di un ritiro delle truppe nel 2014,
l’avvicinamento di una fazione talebana verso il governo centrale afghano e la paura
di un ritorno a regimi integralisti portano le persone ad avere molta prudenza nel
muoversi. Molte donne hanno rinunciato al burqa e questo specialmente nelle parti
più agiate di Kabul. Se però ci si sposta nelle periferie stesse della città o addirittura
si esce e si va verso i villaggi, le donne hanno tutte il burqa. E’ vero che ora faceva
molto freddo, la temperatura superava i 20 gradi sotto lo zero e nevicava, ma era
rarissimo vedere nei villaggi donne per le strade.
D. – Quando i talebani
erano al potere, le donne non potevano essere visitate da un medico se non attraverso
un telo con un piccolo foro, non potevano studiare e perfino leggere e dovevano girare
completamente coperte dal burqa e questo solo per fare alcuni esempi… E’ ancora così
per legge o almeno sul piano legale ci sono dei cambiamenti?
R. – Il piano
legale è completamente mutato: la legge non prevede più il disconoscimento della donna,
ma bisogna distinguere tra quelle che sono le leggi centrali e quello che è poi la
realtà dei fatti e questo specialmente nelle realtà tribali, dove gli stessi uomini
indossano ancora l’abito tradizionale, portano le barbe lunghe e i turbanti e le donne
non hanno mai dismesso i burqa. Oggi l’assistenza sanitaria alle donne è garantita,
ma il problema è farle arrivare agli ospedali, perché sono i mariti che ancora tendono
ad essere radicati in una mentalità quasi pre-islamica - di vergogna, onore e tutto
quanto il resto - e quindi non permettono alle donne di accedere alle cure sanitarie.
Di fatto le strutture sanitarie per le donne oggi sono accessibili.
D. – Oggi
le donne possono anche studiare…
R. – E’ stata una grande sorpresa e credo
che qualcuno si stupirà nel sentirmelo dire: al di là di Kabul e della zona nordest
e nordovest che è già un po’ più liberalizzata da tempo, in questo mio ultimo viaggio
sono stato anche a Kandahar, che è una roccaforte tipica talebana, e qui ho visto
anche donne lavorare e bambine andare a scuola. Certo, la strada tra l’aeroporto e
la città è ancora pericolosissima e controllata dai talebani. Questa però è la realtà
urbana. Nelle aree extraurbane, quindi nei villaggi e tra le montagne, tutto questo
non avviene: le donne sono ancora segregate e ancora oggi nella case e nei quartieri
di Kabul si tende a privilegiare il figlio maschio, con l’alimentazione, con la scolarizzazione;
se ci sono dei vestiti caldi si danno ai maschi e non alle femmine, perché si pensa
che se muore una bambina ha meno importanza che se muore un maschio.
D. –
E’ vero che in Afghanistan la violenza sessuale non è solo verso le donne ma anche
verso i ragazzini maschi?
R. –Sì, è assolutamente vero. Questo avviene indistintamente
per maschi e per femmine. Uno dei focus di Pangea è anche sui diritti dei minori e
sul diritto all’infanzia. E’ un Paese dove l’infanzia è negata e dove il fenomeno
dei bambini di strada è imperante. I bambini corrono rischi di ogni genere: dallo
stupro alla possibilità di essere rapiti da trafficanti di esseri umani ed esportati
come “pezzi di ricambio” per la compravendita di organi e anche per l’utilizzo a scopi
sessuali in Occidente. (mg)