La Chiesa in Africa, segno di riconciliazione e di pace. Intervista al Prefetto di
Propaganda Fide mons. Filoni
“Promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace in Africa guardando alla Chiesa
come famiglia di Dio”, così i vescovi della Conferenza episcopale regionale dell’Africa
occidentale Recowa-Cerao, al termine della loro Assemblea che si è tenuta la settimana
scorsa a Yamoussoukro in Costa d’Avorio. Un’assemblea che ha riunito per la prima
volta l’Associazione delle Conferenze episcopali anglofone dell’Africa occidentale
con quelle francofone e lusitane. Presente alla riunione, il Prefetto della Congregazione
per l’Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale designato l'arcivescovo Fernando Filoni
il quale spiega al microfono di Roberto Piermarini il perché si è voluto riunire in
una sola Conferenza di vescovi, tutti gli episcopali della regione dell’Africa occidentale
R. – Intanto
dobbiamo considerare che l’Africa è un grande contenitore e che ci sono delle omogeneità
tra regione e regione. In questa regione occidentale dell’Africa ci sono molte similarità
a livello etnico, a livello anche linguistico locale, a livello religioso e anche
a livello di problematiche: c’è una condivisione, ci sono similarità. Dunque la differenziazione
linguistica che si aveva in passato: una parte anglofona, una parte francofona e una
parte lusitana, era un aspetto che non poteva sostanzialmente reggere, proprio perché
c’era un substrato comune. Quindi si è pensato che questo aspetto linguistico non
dovesse essere una barriera e pertanto si è pensato di unificare la regione per affrontare
insieme tutte le sfide pastorali, ma non solo.
D. – La Chiesa in Africa come
può farsi promotrice di riconciliazione, di giustizia e di pace come invocato dalle
conclusioni della Plenaria in Costa d’Avorio?
R. – Diciamo che questa regione
proprio perché ha delle similarità, può affrontarle insieme per una omogenea visione
e anche per i mezzi che dispone e dei quali, comunque, questa regione si può dotare.
Dunque si può fare promotrice, perché ci sono appunto queste similarità, perché ci
sono anche strumenti che permettono di lavorare insieme in una forma unitaria. I vescovi
ritengono, quindi, che avendo questa possibilità il coordinamento – che tanto è stato
auspicato anche a livello di Sinodo per l’Africa - sia assolutamente opportuno: quantomeno
bisogna lavorare, perché anche se inizialmente potranno esserci delle differenziazioni,
però si può lavorare per arrivare ad un’unificazione anche metodologica degli strumenti
che si hanno a disposizione. E’ importante che anche i vescovi stessi si conoscono,
è importante che si stimino reciprocamente, è importante che stabiliscano elementi
di comunione reciproca. Questo aiuterà un po’ tutta la regione a trovare una visione
unitaria all’interno delle problematiche della Chiesa, ma anche all’interno delle
problematiche più ampie che sono quelle etniche, quelle politiche e sociali, etc.
D. – Eccellenza, quanto incide nel processo di riconciliazione, di giustizia
e pace la formazione del clero, delle varie componenti ecclesiali ma soprattutto dei
giovani?
R. – In questa regione abbiamo delle istituzioni che già lavorano
a livello di Conferenze episcopali nazionali. Le istituzioni catechetiche superiori,
per esempio, accolgono catechisti di un Paese o di un altro e questo specialmente
se ci sono similarità linguistiche e culturali. Abbiamo ancora i Seminari, dove i
seminaristi superiori di teologia, di filosofia, già si incontrando superando quelli
che sono gli aspetti ovviamente nazionali. Specialmente laddove la Chiesa è minoritaria,
c’è la necessità di avere istituzioni ben formate e soprattutto che sappiano dare
una buona formazione comune. Questo permetto non solo la formazione stessa, ma anche
che i giovani che si preparano alla vita religiosa – sacerdoti, religiosi e religiose
e catechisti stessi – di conoscersi e quindi anche di condividere le problematiche
che sono comuni. Dunque istituzioni catechetiche, scuole superiori, seminari, università
già di fatto sono quelle componenti che lavorano in questo senso, proprio nella riconciliazione,
nella giustizia e nella pace.
D. – Quali raccomandazioni deve seguire la Chiesa
africana dall’Esortazione apostolica “Africae munus”, pubblicata in Benin da Benedetto
XVI?
R. – Il tema stesso che è stato preso come elemento comune in questo incontro
dei vescovi della Recowa-Cerao, è lo stesso del Sinodo e quindi promuovere la giustizia
e la pace. I vescovi qui si sono molto richiamati all’Esortazione apostolica che quindi
è diventata un po’ l’elemento centrale di riferimento per tutti gli incontri e per
tutte le discussioni. D’altronde quello che l’“Africae munus” rende manifesti nelle
due grandi parti e poi nei cinque capitoli che la compongono sono esattamente quello
che i vescovi hanno ripreso e che stanno cercando di realizzare. Si pensi al servizio
della riconciliazione, per esempio nel primo capitolo dell’“Africae munus”, che è
esattamente quello che i vescovi hanno come intuizione voluto proprio per questa regione.
Il Papa stesso nell’“Africae munus” parla di servizio alla riconciliazione e poi dei
“cantieri per la riconciliazione”: dunque luoghi in cui i vescovi sono chiamati a
collaborare. Anche nella seconda parte dell’“Africae munus” i vescovi sanno benissimo
che qui il Papa ha parlato ai membri della Chiesa e quindi a vescovi, sacerdoti,
religiosi, religiose, seminaristi. Il Papa ha parlato in questo senso nei campi di
apostolato e quindi la Chiesa, il mondo, la salute, l’informazione. Infine l’Esortazione,
proprio perché insegnamento di Gesù, deve diventare il punto di riferimento costante
in tutto questo lavoro che l’Africa in generale, ma che la regione Recowa-Cerao in
particolare, devono portare avanti.
D. – Eccellenza, di fronte alle sfide del
fondamentalismo islamico in Africa come deve rispondere la Chiesa?
R. – I vescovi
hanno fatto proprio quello che già il Papa aveva, molto bene, delineato ed espresso
nel numero 94 dell’“Africae munus”: ovviamente dobbiamo pensare che l’Africa, e in
particolare questa regione, si trova in una complessità di rapporti con la realtà
musulmana. In alcune parti e in alcuni Paesi c’è una buona relazione tra cristiani
e musulmani, ma ci sono anche zone in cui vi è conflittualità e aggressività. Dunque
il Papa ha esortato e i vescovi hanno fatto propri questi punti. Ad esempio mi riferisco
alla stima che i cristiani devono avere verso i musulmani, perché c’è una condivisione
nell’adorazione dell’unico vero Dio, vivente e sussistente. E questo è un aspetto
fondamentale come substrato teologico per la stima stessa. C’è poi anche il fatto
che i cristiani non possono utilizzare strumenti che siano contrari a quelli che sono
poi i diritti stessi della persona e anche della fede e quindi è necessario bandire
tutte le forme di discriminazione, di intolleranza, il fondamentalismo confessionale.
Poi, come altro elemento, il Papa dice – e i vescovi sono perfettamente d’accordo
– che bisogna aiutare chi è nel bisogno e noi sappiamo bene che in tante scuole, in
tante istituzioni anche relative alla salute, all’educazione, le scuole cristiane
sono miste, ci sono cristiani, ci sono musulmani, ci sono animisti. Dunque anche in
questo si manifesta un aiuto che la Chiesa deve dare con una convinzione. Infine c’è
la questione di ricercare sempre un dialogo paziente con i musulmani, rivendicando
- come aspetto importante - la libertà religiosa, che è uguale per tutti; l’esercizio
di culto, che deve essere rispettato per ciascuno; e, infine, la libertà di coscienza,
senza la quale poi i diritti umani cadono. (mg)