2012-02-03 15:36:47

L’Onu dichiara la fine della carestia in Somalia, ma l’emergenza resta alta per milioni di persone


L’Onu ha annunciato la fine dello stato di carestia in Somalia innescato nei mesi scorsi da una forte siccità, la più intensa degli ultimi 60 anni, ma avverte che l’emergenza continua. Quattro milioni di persone, circa un terzo della popolazione del Paese devastato anche dalla guerra civile, ha infatti ancora bisogno di aiuti: lo ha precisato l’Unità di analisi sulla sicurezza alimentare delle Nazioni Unite. “La grande risposta umanitaria e un raccolto eccezionale hanno però contribuito a migliorare la situazione”. A confermarlo anche Marco Rotelli, segretario generale di Intersos, intervistato da Cecilia Seppia:RealAudioMP3

R. – Molte delle regioni che erano afflitte da questa siccità sono tornate ad una situazione metereologica migliore. Questo ha permesso, nelle ultime settimane, dei raccolti molto buoni che hanno ridotto l’intensità della crisi. Bisogna stare molto attenti a non considerare la crisi conclusa o non ripetibile. L’area ancora molto critica è quella attorno a Mogadiscio, non tanto per le condizioni metereologiche o la siccità, ma per il numero di sfollati che l’avevano raggiunta proprio per via della carestia. Questa massa di persone, che pian piano comincia a rientrare nei luoghi d’origine, va assistita e va messa in condizione di coltivare e di avere gli strumenti per potersi guadagnare la sussistenza.

D. – Di fatto, secondo i dati dell’Onu, si è ridotta anche la malnutrizione, come anche i livelli di mortalità. Questo, soprattutto, grazie alla grande risposta umanitaria di questi ultimi sei mesi…

R. – Anche secondo i nostri dati, quelli di Intersos, i parametri di malnutrizione e di mortalità, soprattutto infantile, stanno diminuendo e vanno sostanzialmente migliorando. Di questo siamo tutti molto contenti. E’ evidente che il merito è dell’azione umanitaria che organizzazioni non governative e Nazioni Unite hanno portato avanti e messo in atto. In questo momento è fondamentale non abbassare la guardia perché questi parametri, purtroppo, possono crollare in pochissimi giorni e settimane se questa campagna di alimenti terapeutici piuttosto che di sostegno alla salute - soprattutto dell’infanzia - non viene sostenuta, principalmente in questa fase.

D. – Quella dell’Onu è una buona notizia, ma l’emergenza resta. Ci sono ancora quattro milioni di persone che di fatto sono dipendenti dagli aiuti…

R. – Purtroppo questa è una situazione che caratterizza la Somalia anche in un momento di crisi non particolarmente acuto. Ricordiamo che la Somalia è un Paese che da 20 anni si trova sostanzialmente privo di un governo stabile: ci sono caos, anarchia ed una tremenda guerra civile. Questo contesto socio-politico non fa altro che aggravare tutte le conseguenze dovute ai disastri naturali o alle condizioni metereologiche particolarmente avverse. E’ fondamentale lavorare sulle radici socio-politiche della crisi e non abbassare la guardia nemmeno su quello, perché altrimenti ogni minima difficoltà, che sia metereologica o ambientale, produrrà effetti assolutamente amplificati. Una nostra priorità è ora quella di attirare l’attenzione pubblica su un’altra siccità che si sta verificando in un’altra area dell’Africa, quella saheliana, soprattutto in Ciad, Mauritania ed in Niger, dove la situazione, tra poche settimane o mesi, potrebbe arrivare ad essere simile a quella che abbiamo sperimentato in Somalia. La recente esperienza fatta in Somalia ci è servita per allertare i governi e l’opinione pubblica in tempo, senza arrivare troppo tardi con l’attività umanitaria.

D. – Non dimentichiamoci quindi il contesto, ossia la guerra civile che da anni tormenta la Somalia, come anche i continui attacchi degli Shebaab che, spesso, ostacolano proprio la distribuzione degli aiuti…

R. – La Somalia, purtroppo, sperimenta ormai da 20 anni forme di oppressione da questo o quell’altro gruppo. E’ importante iniziare forme di dialogo anche con coloro che possono sembrare radicali o estremisti, perché senza una forma di dialogo, che aiuterebbe a far comprendere quali potrebbero essere le possibili vie d’uscita, probabilmente non ci sarà altro che violenza ripetuta per ancora molti anni. (vv)







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