Incinta e licenziata: la riflessione del segretario Cisl, Ocmin, su gravidanza
e lavoro
Ancora oggi, migliaia di donne americane vengono licenziate quando restano incinte.
E’ la denuncia fatta, qualche giorno fa, dal “New York Times” in un lungo articolo
sulle difficoltà delle donne a far rispettare i propri diritti quando aspettano un
bambino. Una piaga che, purtroppo, non riguarda solo gli Stati Uniti, ma che è difficile
da sradicare anche in Italia. Alessandro Gisotti ha intervistato al riguardo
il segretario confederale della Cisl, Liliana Ocmin:
R. – Fino
a quando culturalmente non passa il messaggio che i figli sono un bene pubblico, un
bene della famiglia, un bene della società, chiaramente pesa tutto sulla scelta della
donna. Noi stiamo facendo una grande battaglia come sindacato. Peraltro anche nel
documento di confronto che avremo con il governo sulla riforma del mercato del lavoro
abbiamo inserito la necessità di pensare a strumenti che affrontino il problema di
queste "dimissioni in bianco" perché nel nostro caso, in particolare in Italia, c’era
una legge che ha avuto difficoltà nella sua applicazione che deve essere rivisitata;
dev’essere dato uno strumento per garantire per prima cosa che non si usi questa modalità
poco civile, poco rispettosa di uno Stato di diritto che è quella di fare le "dimissioni
in bianco". Oggi anche per i giovani e per i lavoratori immigrati si fa un foglio
in bianco con una firma, che poi viene utilizzato ogni qualvolta si è di fronte a
una gravidanza, a una lunga malattia, alle difficoltà di poter garantire il posto
di lavoro e quindi si vuole avere la possibilità di licenziare più tranquillamente...
Questo ovviamente mette di fronte alle grandi difficoltà già strutturali, per di più
anche con i colpi che abbiamo a causa della crisi.
D. - Le donne che lavorano
sono scoraggiate ad avere figli e questo ovviamente ha anche riflessi sul tasso di
natalità…
R. - La denatalità, come abbiamo visto negli ultimi vent’anni, continua
a incrementarsi. Questo condanna il destino di una nazione perché, se una nazione
non assicura le condizioni affinché le donne facciano i figli e le famiglie pensino
a investire nella famiglia, la società va inevitabilmente verso il declino.
D.
– Al di là dell’aspetto legislativo negli Stati Uniti come in Europa c’è bisogno di
un cambiamento di atteggiamento culturale…
R. – Io credo che da questo punto
di vista noi dobbiamo ripensare fortemente a quanti cambiamenti sono necessari per
cambiare la cultura e spesso questo compito viene affidato alle donne. Ecco perché
io penso con speranza alla possibilità di un modello che sia rispettoso del genere,
del valore del merito e della possibilità di poter continuare a riaccendere quella
mobilità sociale che dà soltanto vitalità e che rende giusta una società. Sono queste
le condizioni che oggi aiuteranno a uscire dalla crisi e che potranno dare sicuramente
aspettative migliori. Io credo che una società civile, che si rispetti, tiene insieme
i giovani, le donne e soprattutto i più deboli, gli anziani e gli immigrati. (bf)