Udienza generale: il Papa parla della preghiera di Gesù al Getsemani
Benedetto XVI, durante l’udienza generale nell’Aula Paolo VI in Vaticano, ha svolto
la sua catechesi sulla preghiera di Gesù al Getsemani: “domandiamo al Signore – ha
affermato - di essere capaci di vegliare con Lui in preghiera, di seguire la volontà
di Dio ogni giorno anche se parla di Croce, di vivere un’intimità sempre più grande
con il Signore, per portare in questa «terra» un po’ del «cielo» di Dio”. Di seguito
il testo della catechesi:
Cari fratelli e sorelle,
oggi
vorrei parlare della preghiera di Gesù al Getsemani, al Giardino degli Ulivi. Lo scenario
della narrazione evangelica di questa preghiera è particolarmente significativo. Gesù
si avvia al Monte degli Ulivi, dopo l'Ultima Cena, mentre sta pregando insieme con
i suoi discepoli. Narra l’Evangelista Marco: «Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso
il monte degli Ulivi» (14,26). Si allude probabilmente al canto di alcuni Salmi dell'hallèl
con i quali si ringrazia Dio per la liberazione del popolo dalla schiavitù e si chiede
il suo aiuto per le difficoltà e le minacce sempre nuove del presente. Il percorso
fino al Getsemani è costellato di espressioni di Gesù che fanno sentire incombente
il suo destino di morte e annunciano l'imminente dispersione dei discepoli. Giunti al podere sul Monte degli Ulivi, anche quella notte Gesù si prepara
alla preghiera personale. Ma questa volta avviene qualcosa di nuovo: sembra non voglia
restare solo. Molte volte Gesù si ritirava in disparte dalla folla e dagli stessi
discepoli, sostando «in luoghi deserti» (cfr Mc 1,35) o salendo «sul monte» (cfr Mc
6,46). Al Getsemani, invece, egli invita Pietro, Giacomo e Giovanni a stargli più
vicino. Sono i discepoli che ha chiamato ad essere con Lui sul monte della trasfigurazione
(cfr Mc 9,2-13). Questa vicinanza dei tre durante la preghiera al Getsemani è significativa.
Anche in quella notte Gesù pregherà il Padre «da solo», perché il suo rapporto con
Lui è del tutto unico e singolare: è il rapporto del Figlio Unigenito. Si direbbe,
anzi, che soprattutto in quella notte nessuno possa veramente avvicinarsi al Figlio,
che si presenta al Padre nella sua identità assolutamente unica, esclusiva. Gesù però,
pur giungendo «da solo» nel punto in cui si fermerà a pregare, vuole che almeno tre
discepoli rimangano non lontani, in una relazione più stretta con Lui. Si tratta di
una vicinanza spaziale, una richiesta di solidarietà nel momento in cui sente approssimarsi
la morte, ma è soprattutto una vicinanza nella preghiera, per esprimere, in qualche
modo, la sintonia con Lui, nel momento in cui si appresta a compiere fino in fondo
la volontà del Padre ed è un invito ad ogni discepolo a seguirlo nel cammino della
Croce. L’Evangelista Marco narra: «Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò
a sentire paura e angoscia. Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate
qui e vegliate”» (14,33-34).
Nella parola che rivolge ai tre, Gesù,
ancora una volta, si esprime con il linguaggio dei Salmi: «La mia anima è triste»
(cfr Sal 43,5). La dura determinazione «fino alla morte», poi, richiama una situazione
vissuta da molti degli inviati di Dio nell’Antico Testamento ed espressa nella loro
preghiera. Non di rado, infatti, seguire la missione loro affidata significa trovare
ostilità, rifiuto, persecuzione. Mosè sente in modo drammatico la prova che subisce
mentre guida il popolo nel deserto, e dice a Dio: «Non posso io da solo portare il
peso di tutto questo popolo; è troppo pesante per me. Se mi devi trattare così, fammi
morire piuttosto, fammi morire, se ho trovato grazia ai tuoi occhi» (Nm 11,14-15).
Anche per il profeta Elia non è facile portare avanti il servizio a Dio e al suo popolo.
Nel Primo Libro dei Re si narra: «Egli s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino
e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: “Ora basta, Signore!
Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”» (19,4). Le parole di Gesù ai tre discepoli che vuole vicini durante la preghiera
al Getsemani, rivelano come Egli provi paura e angoscia in quell'«Ora», sperimenti
l’ultima profonda solitudine proprio mentre il disegno di Dio si sta attuando. E in
tale paura e angoscia di Gesù è ricapitolato tutto l'orrore dell'uomo davanti alla
propria morte, la certezza della sua inesorabilità e la percezione del peso del male
che lambisce la nostra vita. Dopo l’invito a restare e a vegliare
in preghiera rivolto ai tre, Gesù «da solo» si rivolge al Padre. L’Evangelista Marco
narra che Egli «andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile,
passasse via da lui quell’ora» (14,35). Gesù cade faccia a terra: è una posizione
della preghiera che esprime l’obbedienza alla volontà del Padre, l’abbandonarsi con
piena fiducia a Lui. E’ un gesto che si ripete all’inizio della Celebrazione della
Passione, il Venerdì Santo, come pure nella professione monastica e nelle Ordinazioni
diaconale, presbiterale ed episcopale, per esprimere, nella preghiera, anche corporalmente,
l’affidarsi completo a Dio, il confidare in Lui. Poi Gesù chiede al Padre che, se
fosse possibile, passasse via da lui quest’ora. Non è solo la paura e l’angoscia dell’uomo
davanti alla morte, ma è lo sconvolgimento del Figlio di Dio che vede la terribile
massa del male che dovrà prendere su di Sé per superarlo, per privarlo di potere.
Cari
amici, anche noi, nella preghiera dobbiamo essere capaci di portare davanti a Dio
le nostre fatiche, la sofferenza di certe situazioni, di certe giornate, l’impegno
quotidiano di seguirlo, di essere cristiani e anche il peso del male che vediamo in
noi e attorno a noi, perché Egli ci dia speranza, ci faccia sentire la sua vicinanza,
ci doni un po’ di luce nel cammino della vita.
Gesù continua la sua
preghiera: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però
non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). In questa invocazione ci sono
tre passaggi rivelatori. All'inizio abbiamo il raddoppiamento del termine con cui
Gesù si rivolge a Dio: «Abbà! Padre!» (Mc 14,36a). Sappiamo bene che la parola aramaica
Abbà è quella che veniva usata dal bambino per rivolgersi al papà ed esprime quindi
il rapporto di Gesù con Dio Padre, un rapporto di tenerezza, di affetto, di fiducia,
di abbandono. Nella parte centrale dell'invocazione c’è il secondo elemento: la consapevolezza
dell'onnipotenza del Padre – «tutto è possibile a te» -, che introduce una richiesta
in cui, ancora una volta, appare il dramma della volontà umana di Gesù davanti alla
morte e al male: «allontana da me questo calice!». Ma c’è la terza espressione della
preghiera di Gesù ed è quella decisiva, in cui la volontà umana aderisce pienamente
alla volontà divina. Gesù, infatti, conclude dicendo con forza: «Però non ciò che
voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36c). Nell'unità della persona divina del Figlio
la volontà umana trova la sua piena realizzazione nell’abbandono totale dell’Io al
Tu del Padre, chiamato Abbà. San Massimo il Confessore afferma che dal momento
della creazione dell’uomo e della donna, la volontà umana è orientata a quella divina
ed è proprio nel “sì” a Dio che la volontà umana è pienamente libera e trova la sua
realizzazione. Purtroppo, a causa del peccato, questo “sì” a Dio si è trasformato
in opposizione: Adamo ed Eva hanno pensato che il “no” a Dio fosse il vertice della
libertà, l’essere pienamente se stessi. Gesù al Monte degli Ulivi riporta la volontà
umana al “sì” pieno a Dio; in Lui la volontà naturale è pienamente integrata nell’orientamento
che le dà la Persona Divina. Gesù vive la sua esistenza secondo il centro della sua
Persona: il suo essere Figlio di Dio. La sua volontà umana è attirata dentro l’Io
del Figlio, che si abbandona totalmente al Padre. Così Gesù ci dice che solo nel conformare
la suavolontà a quella divina, l’essere umano arriva alla sua vera
altezza, diventa “divino”; solo uscendo da sé, solo nel “sì” a Dio, si realizza il
desiderio di Adamo, di noi tutti, quello di essere completamente liberi.
E’ ciò che Gesù compie al Getsemani: trasferendo la volontà umana nella volontà divina
nasce il vero uomo, e noi siamo redenti.
Il Compendio del Catechismo
della Chiesa Cattolica insegna sinteticamente: «La preghiera di Gesù durante la sua
agonia nell'Orto del Getsemani e le sue ultime parole sulla Croce rivelano la profondità
della sua preghiera filiale: Gesù porta a compimento il disegno d'amore del Padre
e prende su di sé tutte le angosce dell'umanità, tutte le domande e le intercessioni
della storia della salvezza. Egli le presenta al Padre che le accoglie e le esaudisce,
al di là di ogni speranza, risuscitandolo dai morti» (n. 543). Davvero «in nessun'altra
parte della Sacra Scrittura guardiamo così profondamente dentro il mistero interiore
di Gesù come nella preghiera sul Monte degli Ulivi» (Gesù di Nazaret II, 177).
Cari
fratelli e sorelle, ogni giorno nella preghiera del Padre nostro noi chiediamo al
Signore: «sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra» (Mt 6,10). Riconosciamo,
cioè, che c'è una volontà di Dio con noi e per noi, una volontà di Dio sulla nostra
vita, che deve diventare ogni giorno di più il riferimento del nostro volere e del
nostro essere; riconosciamo poi che è nel “cielo” dove si fa la volontà di Dio e che
la “terra” diventa “cielo”, luogo della presenza dell’amore, della bontà, della verità,
della bellezza divina, solo se in essa viene fatta la volontà di Dio. Nella preghiera
di Gesù al Padre, in quella notte terribile e stupenda del Getsemani, la “terra” è
diventata “cielo”; la “terra” della sua volontà umana, scossa dalla paura e dall’angoscia,
è stata assunta dalla sua volontà divina, così che la volontà di Dio si è compiuta
sulla terra. Questo è importante anche nella nostra preghiera: dobbiamo imparare ad
affidarci di più alla Provvidenza divina, chiedere a Dio la forza di uscire da noi
stessi per rinnovargli il nostro “sì”, per ripetergli «sia fatta la tua volontà»,
per conformare la nostra volontà alla sua. E’ una preghiera che dobbiamo fare quotidianamente,
perché non sempre è facile affidarci alla volontà di Dio, ripetere il “sì” di Gesù,
il “sì” di Maria. I racconti evangelici del Getsemani mostrano dolorosamente che i
tre discepoli, scelti da Gesù per essergli vicino, non furono capaci di vegliare con
Lui, di condividere la sua preghiera, la sua adesione al Padre e furono sopraffatti
dal sonno. Cari amici, domandiamo al Signore di essere capaci di vegliare con Lui
in preghiera, di seguire la volontà di Dio ogni giorno anche se parla di Croce, di
vivere un’intimità sempre più grande con il Signore, per portare in questa «terra»
un po’ del «cielo» di Dio.