Don Stamile, il parroco minacciato dalla mafia: vado avanti con l'aiuto di Dio
"Non sono né un prete-antimafia, né un eroe. Sono solo un sacerdote che fa il proprio
dovere, noi di fronte al male non possiamo tacere". Sono le parole con cui don
Ennio Stamìle, parroco di Cetraro, provincia di Cosenza, commenta alla Radio Vaticana
le gravi intimidazioni mafiose da lui subite nei giorni scorsi da parte della 'ndrangheta.
Prima il danneggiamento della macchina e poi una testa di maiale mozzata, con un bavaglio
in bocca, trovata sulla soglia della sua abitazione. Il sacerdote ne parla al microfono
di Fabio Colagrande:
R. – Sì,
ho subito queste due intimidazioni – o minacce, che dir si voglia – nello spazio di
pochi giorni. Semplicemente una reazione, magari, alla nostra azione pastorale che
a volte deve assumere anche i toni della denuncia, come tra l’altro ci insegna il
magistero sociale della Chiesa, in particolar la Solicitudo rei socialis di
Giovanni Paolo II, che appunto suggerisce come la denuncia faccia parte della nostra
azione profetica. Chiaramente, la denuncia – dice il Papa – viene dopo l’annuncio,
però anche essa fa parte della nostra azione profetica. E’ chiaro che quando vediamo
il male – quel male che raggiunge livelli preoccupanti perché coinvolge il povero,
chi è solo, come gli anziani e addirittura i disabili – è ovvio che non possiamo tacere,
come dice Isaia: “Per amore del mio popolo, non tacerò”. E' evidente che poi quando
si denuncia, questa denuncia non viene colta come un invito alla conversione ma a
volte in alcuni contesti, in alcuni ambienti purtroppo di sottocultura e di sottosviluppo,
come una sorta di atteggiamento di sfida. Così, come non va quando i media utilizzano
etichette mediatiche: “Il prete contro la mafia, la ‘ndrangheta …”. Il prete, come
cristiano, non è contro nessuno. Noi siamo dalla parte dell’uomo, di ogni uomo, anche
dell’uomo che evidentemente sbaglia. Questa è la nostra missione: noi non abbiamo
– diciamo così – interessi da difendere, ma una funzione profetica da esercitare.
E questo purtroppo non si comprende. E allora, questo a me dispiace molto: mi dispiace
molto perché rischia di offuscare l’immagine di una Calabria straordinaria e di persone
straordinarie che fanno del bene e lo fanno bene, silenziosamente, donandosi quotidianamente
– giovani e meno giovani – a un’azione di servizio, di volontariato, di impegno pastorale
nei confronti soprattutto dei più deboli …
D. – Don Ennio, mi sembra
che da queste parole emerga chiaro il suo intento di non voler essere presentato come
un “prete eroe”, un “prete antimafia”…
R. – Sì, giusto. Perché noi non
abbiamo bisogno di eroi, abbiamo bisogno di persone che semplicemente facciano – si
sforzino di fare, con i propri limiti, con le proprie debolezze – il loro dovere:
solo di questo abbiamo bisogno. Di eroi non ne abbiamo bisogno, anche perché anche
noi qui, a Cetraro, li abbiamo: Giannino Losardo, che è stato ucciso dalla ‘ndrangheta,
e tante altre persone nella terra di Calabria. Non solo politici, ma anche magistrati,
anche sacerdoti… Dunque, gli eroi ce li abbiamo già. Invece abbiamo bisogno di persone
che si sforzino quotidianamente di impegnarsi per il bene, per la giustizia, per la
legalità, per la solidarietà. Di questo abbiamo bisogno.
D. – Il suo
impegno di pastore anche per la legalità a chi da fastidio?
R. – Beh,
dà fastidio, evidentemente, a coloro che pensano di utilizzare strumenti atti a delinquere,
per esempio l’usura, il "pizzo", ogni forma di violenza e anche di paura specie nei
confronti delle persone più deboli. Con la scusa che in Calabria non c’è lavoro –
e questo lo dico soprattutto per alcuni giovani – allora la ‘ndrangheta, si dice,
ci dà lavoro e quindi ci affidiamo, ci affiliamo a essa…
D. – Dopo questi
episodi, però, lei ha detto: “Proseguo il mio cammino”…
R. – Ma certo.
Noi non possiamo sicuramente fermarci. Purtroppo, questa espressione è stata letta
dai giornali in maniera – ovviamente – molto parziale, e questo non va bene. Noi certamente
non ci fermeremo: ci mancherebbe altro. Perché ci dobbiamo fermare o intimorire? Assolutamente.
Soprattutto perché non siamo soli: e non lo siamo non solo e non tanto perché tanta
gente sta accanto a noi, ma perché il Signore è con noi. Ce lo dice San Paolo: "Chi
ci potrà mai separare dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, la nudità, il pericolo,
la spada?". Quindi, davvero con grande serenità andiamo avanti, cerchiamo di andare
avanti, di fare semplicemente quello che dobbiamo fare. Noi non siamo degli eroi,
assolutamente no. (gf)