Zambia: i vescovi chiedono al governo "maggiore attenzione ai più deboli"
I vescovi dello Zambia si dicono contrari al rimpatrio forzato dei rifugiati rwandesi
che vivono nel Paese e condannano i casi di abusi contro i bambini. È quanto emerge
da un’articolata Lettera pastorale, giunta all’agenzia Fides, nella quale la Conferenza
episcopale dello Zambia fa il punto della situazione del Paese e dei rapporti tra
Stato e Chiesa. I vescovi notano che “finora, le nostre relazioni con il nuovo governo
sono cordiali. Vorremmo ribadire ciò che abbiamo sempre detto ai governi precedenti.
La nostra voce profetica sulle questioni nazionali è motivata dal nostro obbligo divino
e dal desiderio di vedere il governo operare per il bene del Paese e avere successo”.
I presuli esprimono apprezzamento per quanto fatto dal governo per combattere la corruzione,
ma chiedono però uno sforzo maggiore, anche per evitare il fenomeno del nepotismo
nella nomina dei dirigenti pubblici. Sulla questione dei rifugiati rwandesi, i vescovi
affermano che “dall’indipendenza, lo Zambia è sempre stato un'oasi di pace in mezzo
ad una regione in conflitto. Di conseguenza lo Zambia è diventato un rifugio per i
profughi. Siamo quindi fortemente turbati dalle lamentele dei rifugiati, specialmente
quelli dal Rwanda, secondo cui il Ministero degli Interni, d'intesa con il Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati ed eventualmente con il governo rwandese, starebbe
cercando di rimpatriare forzatamente i rifugiati rwandesi”. Tra i problemi sociali
del Paese, i vescovi segnalano l’aumento delle violenze sulle donne e gli abusi sui
bambini, definiti “atti indecenti e disumani”. Particolarmente grave rimane la diffusione
dell’Aids e del virus Hiv, che “devasta le famiglie e costituisce una delle maggiori
minacce alla nostra sopravvivenza, sia come nazione che come continente”. Sul piano
economico, i vescovi chiedono una migliore distribuzione della ricchezza derivante
dallo sfruttamento delle risorse minerarie del Paese, dove non sono infrequenti proteste
sociali. “Siamo consapevoli che gli scioperi frequenti e i disordini industriali del
Paese sono sintomi di insoddisfazione e ingiustizia nei rapporti di lavoro” afferma
la Conferenza episcopale. “Si deve bloccare la tendenza, iniziata nei primi anni ‘90
con la liberalizzazione dei sindacati, che ha portato conseguenze non volute come
quella di indebolire le organizzazioni dei lavoratori”. (R.P.)