Unità dei cristiani. Mons. Bianchi: l'ecumenismo non segna il passo
L’ecumenismo ha vissuto una prima stagione, quella post-conciliare, che ha permesso
di riavvicinare la Chiesa cattolica alle altre Chiese cristiane, dopo divisioni lunghe
secoli. In tempi più recenti, invece, è cominciato un periodo in cui il rapporto ecumenico
trae forza dalla continuità con cui esso viene sviluppato, più ancora che dai grandi
eventi. È la convinzione di mons. Mansueto Bianchi, presidente
Commissione episcopale per l'ecumenismo e il dialogo della Cei che, al microfono di
Luca Collodi, traccia un bilancio della recente Settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani a partire dalle parole del Papa a conclusione dell'evento:
R. – Effettivamente,
nell’intervento del Papa quello che colpisce, parlando della vicenda dell’unità dei
cristiani e del cammino dell’unità, sono quelle che chiamerei le “virtù del quotidiano”:
la pazienza, il coraggio, la generosità, la preghiera, l’impegno a riconoscere e a
esprimere gli spazi di comunione possibili. Queste sono appunto le virtù del quotidiano
perché, terminata – per così dire – la grande stagione dei gesti simbolici dell’ecumenismo,
che frantumava e spezzava le croste di gelo durate secoli, comincia poi il cammino
più quotidiano, più prosaico, in cui le difficoltà oggettive vengono messe all’ordine
del giorno, si pongono sul tavolo dell’incontro, del confronto, della discussione.
Questo può far sembrare che la vicenda ecumenica entri in un’impasse, entri in una
specie di rallentamento o addirittura di freno, ma in realtà non è così: il cammino
si fa – per così dire – più ritmato; trova un passo più quotidiano, più normale e
diventa anche fatica e impegno – come dice il Santo Padre –il coraggio e la pazienza
della vicenda di ogni giorno. Questo è un aspetto che nell’intervento del Papa mi
ha molto colpito poiché focalizza, con molta precisione, la situazione del dialogo
ecumenico in questo tempo.
D. – Mons. Bianchi, perché l’unità tra i
cristiani è così importante, anche guardando al tempo corrente, alla crisi, al sociale…
R.
– Perché chiese disunite, e talora chiese conflittuali, sono una controtestimonianza
del Vangelo che vogliono annunciare e sono un segno contrario rispetto al progetto
uomo, a quel progetto di umanità, di città, di civiltà, che ci portiamo dentro, che
è ispirato al dono del Vangelo e che vogliamo cercare di far germinare, di far fiorire,
di far sorgere dentro la convivenza delle persone. In una stagione di globalizzazione,
la vicenda della Chiesa non può presentarsi come vicenda disarticolata, frantumata,
atomizzata, men che meno come vicenda competitiva o addirittura rissosa, perché sarebbe
un naufragare con i fatti quell’annuncio che noi portiamo con le parole.
D.
– A che punto è questo cammino tra i cristiani? Che passi in avanti, ad oggi, sono
stati fatti?
R. – E’ un dialogo sincero, un dialogo approfondito, un
dialogo animato dalla buona volontà degli interlocutori e delle chiese che li sostengono
e che stanno con loro e dietro di loro; ma è un dialogo che sta facendo i conti con
l’oggettività delle differenze e con l’oggettività delle disunioni che esistono tra
le Chiese. Quindi, al di là di quelle che sono le intenzioni, al di là di quello che
è lo slancio del cuore, che è sempre importantissimo come motore della vicenda dell’unità,
insieme alla preghiera e alla richiesta del dono di Dio, si stanno facendo i conti
e si focalizzano quelle che sono oggettivamente le distanze. Questo naturalmente rende
più faticosa, anche concettualmente, la vicenda dell’unità, ma la rende anche più
realistica ed apre la possibilità di fare passi di avvicinamento che non sono – per
così dire – soltanto simbolici e quindi in un certo senso spingono in avanti, anche
se faticosamente e lentamente, il cammino dell’unità. (mg)