Somalia: il premier del governo di transizione chiede "un'azione globale" per il suo
Paese
In Somalia, i ribelli di al-Shabaab hanno intimato alla Croce Rossa di sospendere
le operazioni umanitarie nelle regioni colpite dalla carestia, dopo che l’organizzazione
li aveva accusati di impedire l’arrivo degli aiuti umanitari. Un’accusa ribadita,
oggi, anche dal premier del governo di transizione somalo, Abdulweli Mohammed Ali,
in visita in Italia dove mercoledì incontrerà il premier Monti. Il primo ministro
ha anche annunciato che una conferenza internazionale sulla Somalia si svolgerà alla
fine di febbraio a Londra. Il servizio di Davide Maggiore :
In
appoggio agli sforzi del governo somalo “è necessaria una risoluta azione globale”,
ha detto il capo del governo di transizione. Il premier ha indicato nella stesura
e nell’approvazione di una costituzione il prossimo passo da compiere: inoltre, ha
rivendicato i successi conseguiti dal suo governo negli ultimi mesi nel dialogo con
le autorità locali e la stabilizzazione del territorio dopo la riconquista di Mogadiscio,
sottratta ad al-Shabaab. Abdulweli Mohammed Ali ha inoltre nuovamente accusato il
gruppo radicale di essere parte del progetto di al-Qaeda per instaurare in Somalia
“uno stato di tipo talebano”. “Abbiamo tutti una responsabilità nel combattere al
Qaeda”, ha ribadito il primo ministro, sottolineando come il gruppo terroristico stia
cercando di reclutare aderenti nella diaspora somala all’estero. Il capo del governo
federale di transizione si è quindi rivolto ai partner internazionali del suo Paese,
invitandoli a non trascurare gli aiuti alla Somalia, anche in questo momento di pesante
crisi economica per l’Occidente.
In questo scenario "Medici Senza Frontiere",
presente nel Paese dal 1991, ha deciso di chiudere il progetto nella capitale dopo
l’uccisione di due operatori, nel dicembre scorso. Massimiliano Menichetti
ha raccolto il commento di Sergio Cecchini responsabile comunicazione di "Mfs
Italia":
R. – A Mogadiscio
c’è una situazione di violenze e insicurezza costante; c’è un susseguirsi di attentati,
giovedì scorso abbiamo registrato un attacco suicida in un campo sfollati di Mogadiscio;
ci sono in corso scontri in diversi luoghi della capitale somala. L’uccisione dei
nostri due operatori umanitari, a fine dicembre, rappresenta semplicemente l’apice
di quella che è una situazione di insicurezza elevatissima: forse uno dei contesti
più pericolosi in cui intervenire oggi.
D. – Due operatrici di nazionalità
spagnola sono tuttora nelle mani dei sequestratori?
R. – Diciamo che
risultano tuttora scomparse, disperse… Sono state rapite ad inizio ottobre nel campo
rifugiati di Dadaab, che si trova in Kenya e - sappiamo - che sono state
portate in Somalia. Quindi "Medici Senza Frontiere" è pesantemente toccata dal livello
di insicurezza presente nel Paese, ma cerchiamo comunque in tutti i modi di poter
restare lì.
D. – Le violenze sono dunque un problema, ma altro fronte
drammatico sono la carestia e le epidemie?
R. – Quello che ci preoccupa
sono le condizioni di salute della popolazione somala. In particolare, abbiamo rapporti
di casi di epidemie e di morbillo nella zona di Haranka, che è quaranta chilometri
a Nord di Jilib: stiamo cercando di avviare delle azioni per vaccinazioni contro il
morbillo. Ma ci sono anche casi di malnutrizione: l’emergenza nutrizionale è esplosa
nella scorsa primavera e continua a registrare casi di malnutrizione molto gravi.
Stiamo quindi intensificando anche quest’altro tipo di attività in oltre 11 zone del
Paese. C’è da dire che, dal ’91 ad oggi, la Somalia è un Paese che non ha un sistema
sanitario, che non ha delle autorità sanitarie; è un Paese estremamente diviso tra
varie comunità, tra vari gruppi armati e il lavoro delle organizzazioni umanitarie
non viene minimamente rispettato.
D. – Riuscite a coordinarvi con l’Onu
e con il governo federale di transizione?
R. – Da località a località
cambiano radicalmente i referenti e gli attori sul campo: ovviamente il tipo di coordinamento
cambia a seconda della zona di intervento. Comunque, con tutti gli attori che sono
sul campo - sia con le agenzie internazionali delle Nazioni Unite, sia autorità locali
– manteniamo un livello di coordinamento. Soprattutto – è quello che riscontriamo
– è la popolazione somala che ci chiede di rimanere, perché sono pochissime le organizzazioni
presenti sul campo.
D. – Secondo la vostra esperienza cosa serve in
concreto sul terreno?
R. – Serve che tutte le parti si muovano sul contesto
somalo, garantiscano la protezione delle organizzazioni umanitarie e di tutti quei
soggetti che cercano di portare aiuto alla popolazione somala. Non c’è alcun motivo
di colpire operatori sanitari, di colpire operatori umanitari che sono lì per assistere
la popolazione somala. Fare questo significa non solo colpire le organizzazioni umanitarie,
ma soprattutto impedire alla popolazione somala bisogna di aiuto, di riceverlo, di
poter essere assistita. (mg)