2012-01-30 19:14:36

Somalia: il premier del governo di transizione chiede "un'azione globale" per il suo Paese


In Somalia, i ribelli di al-Shabaab hanno intimato alla Croce Rossa di sospendere le operazioni umanitarie nelle regioni colpite dalla carestia, dopo che l’organizzazione li aveva accusati di impedire l’arrivo degli aiuti umanitari. Un’accusa ribadita, oggi, anche dal premier del governo di transizione somalo, Abdulweli Mohammed Ali, in visita in Italia dove mercoledì incontrerà il premier Monti. Il primo ministro ha anche annunciato che una conferenza internazionale sulla Somalia si svolgerà alla fine di febbraio a Londra. Il servizio di Davide Maggiore RealAudioMP3 :

In appoggio agli sforzi del governo somalo “è necessaria una risoluta azione globale”, ha detto il capo del governo di transizione. Il premier ha indicato nella stesura e nell’approvazione di una costituzione il prossimo passo da compiere: inoltre, ha rivendicato i successi conseguiti dal suo governo negli ultimi mesi nel dialogo con le autorità locali e la stabilizzazione del territorio dopo la riconquista di Mogadiscio, sottratta ad al-Shabaab. Abdulweli Mohammed Ali ha inoltre nuovamente accusato il gruppo radicale di essere parte del progetto di al-Qaeda per instaurare in Somalia “uno stato di tipo talebano”. “Abbiamo tutti una responsabilità nel combattere al Qaeda”, ha ribadito il primo ministro, sottolineando come il gruppo terroristico stia cercando di reclutare aderenti nella diaspora somala all’estero. Il capo del governo federale di transizione si è quindi rivolto ai partner internazionali del suo Paese, invitandoli a non trascurare gli aiuti alla Somalia, anche in questo momento di pesante crisi economica per l’Occidente.

In questo scenario "Medici Senza Frontiere", presente nel Paese dal 1991, ha deciso di chiudere il progetto nella capitale dopo l’uccisione di due operatori, nel dicembre scorso. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Sergio Cecchini responsabile comunicazione di "Mfs Italia":RealAudioMP3

R. – A Mogadiscio c’è una situazione di violenze e insicurezza costante; c’è un susseguirsi di attentati, giovedì scorso abbiamo registrato un attacco suicida in un campo sfollati di Mogadiscio; ci sono in corso scontri in diversi luoghi della capitale somala. L’uccisione dei nostri due operatori umanitari, a fine dicembre, rappresenta semplicemente l’apice di quella che è una situazione di insicurezza elevatissima: forse uno dei contesti più pericolosi in cui intervenire oggi.

D. – Due operatrici di nazionalità spagnola sono tuttora nelle mani dei sequestratori?

R. – Diciamo che risultano tuttora scomparse, disperse… Sono state rapite ad inizio ottobre nel campo rifugiati di Dadaab, che si trova in Kenya e - sappiamo - che sono state portate in Somalia. Quindi "Medici Senza Frontiere" è pesantemente toccata dal livello di insicurezza presente nel Paese, ma cerchiamo comunque in tutti i modi di poter restare lì.

D. – Le violenze sono dunque un problema, ma altro fronte drammatico sono la carestia e le epidemie?

R. – Quello che ci preoccupa sono le condizioni di salute della popolazione somala. In particolare, abbiamo rapporti di casi di epidemie e di morbillo nella zona di Haranka, che è quaranta chilometri a Nord di Jilib: stiamo cercando di avviare delle azioni per vaccinazioni contro il morbillo. Ma ci sono anche casi di malnutrizione: l’emergenza nutrizionale è esplosa nella scorsa primavera e continua a registrare casi di malnutrizione molto gravi. Stiamo quindi intensificando anche quest’altro tipo di attività in oltre 11 zone del Paese. C’è da dire che, dal ’91 ad oggi, la Somalia è un Paese che non ha un sistema sanitario, che non ha delle autorità sanitarie; è un Paese estremamente diviso tra varie comunità, tra vari gruppi armati e il lavoro delle organizzazioni umanitarie non viene minimamente rispettato.

D. – Riuscite a coordinarvi con l’Onu e con il governo federale di transizione?

R. – Da località a località cambiano radicalmente i referenti e gli attori sul campo: ovviamente il tipo di coordinamento cambia a seconda della zona di intervento. Comunque, con tutti gli attori che sono sul campo - sia con le agenzie internazionali delle Nazioni Unite, sia autorità locali – manteniamo un livello di coordinamento. Soprattutto – è quello che riscontriamo – è la popolazione somala che ci chiede di rimanere, perché sono pochissime le organizzazioni presenti sul campo.

D. – Secondo la vostra esperienza cosa serve in concreto sul terreno?

R. – Serve che tutte le parti si muovano sul contesto somalo, garantiscano la protezione delle organizzazioni umanitarie e di tutti quei soggetti che cercano di portare aiuto alla popolazione somala. Non c’è alcun motivo di colpire operatori sanitari, di colpire operatori umanitari che sono lì per assistere la popolazione somala. Fare questo significa non solo colpire le organizzazioni umanitarie, ma soprattutto impedire alla popolazione somala bisogna di aiuto, di riceverlo, di poter essere assistita. (mg)








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