Somalia: il premier chiede supporto internazionale contro le violenze. Msf: è ancora
emergenza umanitaria
Contro il terrorismo serve un supporto internazionale per elaborare strategie comuni,
nell'intelligence e nella logistica degli interventi militari. Così, il premier somalo
Abdiweli Mohamed Ali, in visita a Roma. La presenza di Al Qaeda e degli Al Shaabab
nel Paese è un problema regionale e globale, per questo – ha aggiunto – a febbraio,
a Londra si terrà una conferenza internazionale sulla questione. Intanto, la Somalia
è ancora sotto shock per l’uccisione, sabato, a Mogadiscio, del giornalista Hassan
Osman Abdi - direttore del network "Shabelle" e proprietario di una delle radio più
popolari del Paese - e per l’ennesimo attacco ad un ufficio delle Nazioni Unite a
Bulo Hubey, nel distretto di Wadajir dove due persone, sono rimaste gravemente ferite.
In questo scenario "Medici Senza Frontiere", presente nel Paese dal 1991, ha deciso
di chiudere il progetto nella capitale dopo l’uccisione di due operatori, nel dicembre
scorso. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Sergio Cecchini
responsabile comunicazione di "Mfs Italia":
R. – A Mogadiscio
c’è una situazione di violenze e insicurezza costante; c’è un susseguirsi di attentati,
giovedì scorso abbiamo registrato un attacco suicida in un campo sfollati di Mogadiscio;
ci sono in corso scontri in diversi luoghi della capitale somala. L’uccisione dei
nostri due operatori umanitari, a fine dicembre, rappresenta semplicemente l’apice
di quella che è una situazione di insicurezza elevatissima: forse uno dei contesti
più pericolosi in cui intervenire oggi.
D. – Due operatrici di nazionalità
spagnola sono tuttora nelle mani dei sequestratori?
R. – Diciamo che
risultano tuttora scomparse, disperse… Sono state rapite ad inizio ottobre nel campo
rifugiati di Dadaab, che si trova in Kenya e - sappiamo - che sono state
portate in Somalia. Quindi "Medici Senza Frontiere" è pesantemente toccata dal livello
di insicurezza presente nel Paese, ma cerchiamo comunque in tutti i modi di poter
restare lì.
D. – Le violenze sono dunque un problema, ma altro fronte
drammatico sono la carestia e le epidemie?
R. – Quello che ci preoccupa
sono le condizioni di salute della popolazione somala. In particolare, abbiamo rapporti
di casi di epidemie e di morbillo nella zona di Haranka, che è quaranta chilometri
a Nord di Jilib: stiamo cercando di avviare delle azioni per vaccinazioni contro il
morbillo. Ma ci sono anche casi di malnutrizione: l’emergenza nutrizionale è esplosa
nella scorsa primavera e continua a registrare casi di malnutrizione molto gravi.
Stiamo quindi intensificando anche quest’altro tipo di attività in oltre 11 zone del
Paese. C’è da dire che, dal ’91 ad oggi, la Somalia è un Paese che non ha un sistema
sanitario, che non ha delle autorità sanitarie; è un Paese estremamente diviso tra
varie comunità, tra vari gruppi armati e il lavoro delle organizzazioni umanitarie
non viene minimamente rispettato.
D. – Riuscite a coordinarvi con l’Onu
e con il governo federale di transizione?
R. – Da località a località
cambiano radicalmente i referenti e gli attori sul campo: ovviamente il tipo di coordinamento
cambia a seconda della zona di intervento. Comunque, con tutti gli attori che sono
sul campo - sia con le agenzie internazionali delle Nazioni Unite, sia autorità locali
– manteniamo un livello di coordinamento. Soprattutto – è quello che riscontriamo
– è la popolazione somala che ci chiede di rimanere, perché sono pochissime le organizzazioni
presenti sul campo.
D. – Secondo la vostra esperienza cosa serve in
concreto sul terreno?
R. – Serve che tutte le parti si muovano sul contesto
somalo, garantiscano la protezione delle organizzazioni umanitarie e di tutti quei
soggetti che cercano di portare aiuto alla popolazione somala. Non c’è alcun motivo
di colpire operatori sanitari, di colpire operatori umanitari che sono lì per assistere
la popolazione somala. Fare questo significa non solo colpire le organizzazioni umanitarie,
ma soprattutto impedire alla popolazione somala bisogna di aiuto, di riceverlo, di
poter essere assistita. (mg)