Benedetto XVI: sostenere gli operatori sanitari nei Paesi poveri. La testimonianza
del dr. Angi di Cbm
“Perché il Signore sostenga lo sforzo degli operatori sanitari delle regioni più povere
nell'assistenza ai malati e agli anziani”. E’ l’intenzione missionaria di preghiera
di Benedetto XVI per il mese di febbraio. Sull’importanza della fede nella cura dei
sofferenti, specie degli emarginati, Alessandro Gisotti ha intervistato il
dottor Mario Angi, presidente di Cbm - Missioni Cristiane per i Ciechi nel
Mondo:
R. - Mi viene
in mente la frase del Salmo che dice “Se il Signore non costruisce la casa, invano
si affaticano i costruttori”. Mi rendo conto che gli sforzi che noi possiamo mettere
in atto, pur lodevoli, pur delicati, non riescono a colmare l’immenso bisogno di aiuti
che hanno i Paesi poveri. Quindi, la sensazione è che proprio ci voglia un aiuto provvidenziale,
una presenza dello Spirito per poter mandare avanti i progetti e per poter aiutare
le popolazioni che sono nel bisogno.
D. - Accanto alla scienza, alla
medicina, quanto è importante l’amore nella cura dei malati, soprattutto di malati
in situazioni così gravi?
R. – La percezione del rapporto umano è fondamentale
nel creare una fiducia ed un afflusso dei malati all’ospedale. Ci sono degli studi
che affermano che anche solo offrendo una tazza di te negli ospedali in India, si
aumenta del trecento percento l’affluenza dei malati nelle strutture sanitarie che
operano la cataratta! Il paziente ha bisogno di essere curato, ma anche di sentirsi
persona umana, e trattata come tale dal medico.
D. – Lei ha avuto tante
esperienze in tanti Paesi: cosa le resta, pensando anche ad una crescita della fede?
R.
– Devo dire che a distanza di anni, resta il legame con delle persone e il ricordo
di progetti svolti insieme. Resta soprattutto la presenza e il volto delle persone
che ho incontrato: missionari, suore, bambini, anziani… Se devo portare a casa proprio
un bilancio, mi vengono in mente una serie di situazioni umane, in cui mi sono messo
al fianco di queste persone con le quali ho condiviso le loro necessità, ricevendo
in cambio un ritorno di affetto e di umanità che tuttora mi riempie il cuore.
D.
– Cosa consiglierebbe ad un giovane medico che magari voglia impegnarsi in missione,
in realtà di Paesi poveri…
R. – La mia esperienza personale è sempre
stata legata a dei missionari o persone religiose. Consiglierei di seguire un filo
rosso, cioè di individuare un referente, una persona buona di cui fidarsi, con la
quale ci si possa mettere in contatto per conoscere i problemi del posto. E attraverso
questo primo contatto, poi si aprono una serie di possibilità. Il legame con una struttura
ecclesiale, un missionario di cui fidarsi e a cui dare il proprio sostegno, è stata
per me la “chiave di ingresso” in molti continenti, dal Sud America all’Africa. Quindi
io consiglierei di non partire come turisti, ma partire come fratelli in Cristo appoggiandosi
a un missionario. (bi)