2500 città in preghiera per la Terra Santa. L'importanza dell'evento nelle parole
di padre Pizzaballa
In occasione della Quarta Giornata internazionale di intercessione per la pace in
Terra Santa, che si celebra questa domenica, 2500 città di tutti i continenti pregheranno
per la pace e la riconciliazione nella Terra di Gesù e nel mondo. L’iniziativa, patrocinata
dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace è promossa da varie organizzazioni
giovanili e istituti religiosi cattolici. Sul significato profondo di questa Giornata
Stefano Leszczynski ha intervistato il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista
Pizzaballa:
R. – E’ importante
e ci ricorda, anzitutto, qual è il primo dovere e qual è la prima cosa che dobbiamo
fare, quella cioè di metterci di fronte al Signore. La pace è un dono, ma lo dobbiamo
costruire noi: pace significa anche relazione positiva, serena e questa deve essere
illuminata anzitutto dal rapporto con Dio.
D. – Un momento importante
anche per i cristiani di Terra Santa, che spesso si sentono lontani e in stato di
grave difficoltà…
R. – Purtroppo in Terra Santa di pace si parla nella
preghiera, nella disanima della situazione, ma non rappresenta la realtà. Il conflitto
che c’è in Terra Santa è considerato l’origine di tanti altri conflitti e quindi -
per noi cristiani che siamo qui - la pace, oltre che essere un desiderio, è un dovere,
un richiamo che deve partire dalla coscienza di essere – soprattutto qui – di fronte
a Dio.
D. – Quest’anno assume anche un particolare carattere ecumenico
questa iniziativa…
R. – Sì, è una felice coincidenza che sia preceduta
da un incontro di preghiera per la pace e la riconciliazione da Gerusalemme tra tutti
i cristiani, che si riuniscono di volta in volta in chiese diverse e che questa volta
si ritroveranno presso la Chiesa copta-ortodossa. E questo per chi ha fede non è una
coincidenza, ma è una provvidenza…
D. – Non è la prima volta che si
svolge questa Giornata d’intercessione: quali frutti si sono potuti vedere in questi
anni?
R. – Frutti immediati non se ne vedono, evidentemente una giornata
di preghiera non produce frutti immediati, ma col tempo ci sono relazioni più serene:
lo stare insieme e l’incontrarsi per pregare per qualcosa di positivo, ci fa conoscere
meglio e questo crea un ambiente più sereno. Restano sicuramente tanti problemi, ma
il ritrovarsi per pregare insieme per qualcosa che ci unisce – il desiderio della
pace – produce sicuramente animi più sereni.
D. – I giovani sono un
elemento importante in questo avvenimento: quanti sono e come partecipano a questa
iniziativa?
R. – Qui i giovani partecipano molto, non sono naturalmente
tantissimi: sono i giovani dei diversi gruppi di preghiera, degli oratori, delle attività
che si svolgono, delle varie parrocchie, delle scuole. Anch’essi avranno momenti di
preghiera durante le celebrazioni di questi giorni. Ma – ripeto - oltre alla preghiera,
c’è la preparazione e quindi il parlare, perché decidere di fare quel momento di preghiera
porta anche alla riflessione, al pensiero e all’impegno, della propria coscienza anzitutto
per la pace e per una mentalità e una cultura di pace. (mg)