Egitto, un anno fa l'inizio della rivolta. Le opinioni di un militante e del nunzio,
mons. Fitzgerald
Il 25 gennaio di un anno fa, in Egitto, avevano inizio le manifestazioni di protesta
in piazza Tahrir, che avrebbero portato alle dimissioni del presidente Mubarak. E
oggi è stato anche revocato, dopo 30 anni, lo stato d'emergenza imposto dopo l'uccisione
di Sadat. Il capo del Consiglio militare, maresciallo Hussein Tantawi, ha rivolto
un appello ai movimenti di piazza Tahrir, spronandoli a formare un partito politico.
Per un bilancio di questa “primavera egiziana”, Davide Maggiore ha intervistato
Ahmed Maher, fondatore del “Movimento 6 aprile”, che fu protagonista delle
manifestazioni:
R. – Now, we expected better than what happened… Ci
aspettavamo di meglio rispetto a quello che è accaduto un anno fa. Ci aspettavamo
un nuovo presidente, prima di un nuovo parlamento. Ma l’Escaf (l’Egypt Supreme
Council of Armed Forces – Consiglio supremo delle forze armate d’Egitto - ndr),
che attualmente detiene il potere che gli è derivato dalla nostra rivoluzione, ha
indetto le elezioni parlamentari prima di quelle presidenziali. Non è strano
allora che le forze islamiche abbiano la maggioranza in parlamento, ma non abbiamo
timore di questo, possiamo accettarlo. Quello che potrà indurre la gente ad accettarlo
o meno dipende dall’aspetto economico. Se le forze islamiche saranno capaci di risolvere
i problemi economici, saranno accettate, se invece vorranno insistere su aspetti religiosi,
nessuno le accetterà.
D. – Secondo lei, le idee della rivoluzione e
le loro richieste troveranno un posto nel futuro dell’Egitto?
R. – The
revolution now is still continuing: the revolution will end… La rivoluzione
è ancora in corso: finirà quando avremo raggiunto tutti i nostri scopi. Abbiamo molti
obiettivi da raggiungere, abbiamo avanzato molte richieste e lavoreremo per questo,
completeremo la rivoluzione. E’ cominciata una pressione sul parlamento per ricordare
ai deputati che noi abbiamo votato per loro e loro dovranno essere al nostro servizio,
dovranno raggiungere gli obiettivi che abbiamo segnalato, dovranno sostenere l’economia
e molto altro ancora. La rivoluzione continuerà fino a quando non ci saranno cambiamenti
– magari tra due, tre anni non so – ma noi saremo lì per vigilare su tutto.
D.
– Dopo un anno, cosa ancora c’è da fare in Egitto?
R. – Now we can speak
freely in any place! … Ora, possiamo parlare liberamente in ogni luogo:
l’altro giorno ho tenuto una conferenza in strada… Ecco, adesso possiamo organizzare
comizi per le strade, possiamo rendere pubbliche le nostre idee, oggi è possibile
che tu possa parlare liberamente, fondare un partito… Per quanto riguarda i temi economici,
la democrazia e l’avere un governo stabile, ci vorrà un po’ di tempo. Credo che questo
si possa prevedere dopo le elezioni presidenziali: allora ci sarà un vero cambiamento.
Adesso non ancora…
D. – Quali gli aspetti principali che dovranno cambiare
dopo le elezioni presidenziali?
R. – After the presidential elections
it will be more stable, … Dopo le elezioni presidenziali, la situazione
si stabilizzerà perché la gente saprà con chi sta trattando. Ora parliamo con l’Escaf,
sono militari, non accettano suggerimenti da nessuno. Ma quando riusciremo a trattare
con un presidente civile, per noi sarà tutto più facile.
D. – Il processo
a Mubarak è ancora in corso. Lei pensa che la conclusione del processo, qualsiasi
essa sia, possa segnare la fine del vecchio regime?
R. – No. The old
regime is not Mubarak only. The old regime… No. Il vecchio regime non è
soltanto Mubarak. Il vecchio regime è tanta gente che ha ancora quella mentalità,
e ci sono molti uomini d’affari e molti generali che sono determinati a tutelare i
loro interessi. Per questo, il regime di Mubarak finirà quando avremo ripulito organizzazioni
e ministeri dalla gente di Mubarak, dal partito Ndp (National Democratic Party) e
dalla sua mentalità.
D. – E’ preoccupato per il ruolo che i militari
svolgono attualmente nel suo Paese?
R. – Sure. We are worried by the
militaries. We can accept the Islamic Groups, … Sicuramente. I militari
ci preoccupano. Possiamo accettare i raggruppamenti islamici, perché con loro possiamo
discutere, possiamo organizzare manifestazioni “contro” di loro, ma sono comunque
civili. Ma se i militari avranno un ruolo nella Costituzione, sarà molto pericoloso
…
D. – Nei giorni della rivoluzione, il Paese ha manifestato unità.
Lei pensa che questo continuerà anche nei prossimi mesi?
R. – It will
depend on the issues. … Dipenderà dagli argomenti. Un anno fa, ci trovavamo
tutti insieme a lottare contro il regime di Mubarak. Ora, invece, ci sono molti argomenti
sul tavolo e ci sono tante ideologie. Quindi, ci potrà essere un’alleanza di alcuni
gruppi in opposizione ad altri, ma su un diverso argomento si potrebbe avere un’alleanza
diversa. Ecco perché dipenderà dagli argomenti: economici, religiosi e tanti altri
ancora…
D. – In particolare, per quanto riguarda l’aspetto religioso
lei pensa che le minoranze religiose corrano dei rischi?
R. – No, I
don’t think that. … No, non credo. Non ci sono rischi. La rivoluzione proteggerà
i cristiani d’Egitto. Noi viviamo insieme da oltre mille anni… Il problema si è verificato
soltanto nell’epoca di Mubarak: prima di Mubarak, non ci sono mai stati problemi,
in Egitto, tra cristiani e musulmani. Quindi, io penso che sarebbe molto positivo
se noi ci impegnassimo a diffondere in Egitto i valori di civiltà ed eguaglianza e
comprensione, contro ogni idea radicale. La maggioranza degli egiziani non desidera
avere problemi legati alla religione; per questo noi proseguiremo sulla strada della
diffusione dei valori della civiltà e dell’uguaglianza. (gf)
E sulla valutazione
della minoranza cattolica su quanto accaduto in Egitto negli ultimi 12 mesi si esprime
il nunzio apostolico nel Paese, l’arcivescovo mons.Michael Louis Fitzgerald,
intervistato dal collega della nostra redazione francese, Olivier Bonnel:
R.
- Penso che i cristiani, in generale, siano delusi dai risultati delle elezioni, dalle
quali è emersa una grande maggioranza islamica. Ma c’è anche la speranza nel constatare
che esiste un movimento democratico, che la democrazia continua e che si potrà fare
qualcosa alle prossime elezioni: i deputati non islamici in parlamento potranno far
sentire la loro voce. Quanto alla commemorazione del 25 gennaio le opinioni sono molto
diverse: è stata chiesta una celebrazione e molti sostengono che, no, non è il momento
di festeggiare. La rivoluzione, dicono, non è finita, bisogna rispettare i martiri,
non è il momento di esultare. Io penso che la maggioranza delle persone desideri che
la giornata del 25 gennaio trascorra nella pace. Credo che questo sia l’auspicio della
maggior parte degli egiziani: che non ci sia violenza. (bf)