Australia: appello della Chiesa sul soggiorno dei richiedenti asilo
Non più di tre mesi. Tanto restino i richiedenti asilo nei Centri di permanenza temporanea
dell’Australia. A chiederlo è la Commissione episcopale locale per la Giustizia, l’ecologia
e lo sviluppo: in una nota pubblicata in vista dell’Australia Day, la Festa dell’indipendenza
che ricorre il 26 gennaio, i presuli ribadiscono che “la detenzione prolungata e indefinita
dei richiedenti asilo nei Centri di permanenza temporanea (Cpt) non può che produrre
danni psicologici”. “Le proteste di massa, i gesti di autolesionismo ed i suicidi
di cui siamo stati testimoni nel corso degli anni – si legge nella nota – dimostrano
che le dure condizioni di vita nei Cpt acuiscono i traumi già vissuti da persone in
fuga da guerre, violenze e persecuzioni. E una vasta gamma di esperti ed operatori
sanitari ha identificato nella detenzione prolungata ed indefinita il fattore principale
della comparsa e dell’acuirsi delle malattie mentali”. Di qui, l’accento forte posto
dai vescovi sul fatto che “la permanenza nei Cpt dovrebbe servire solo a stabilire
l’identità dei richiedenti asilo e a garantire che essi non siano una minaccia per
la sanità o la sicurezza dell’Australia”. Ma ciò non basta: la Commissione episcopale
richiama anche l’attenzione sul modo in cui la comunità accoglie tali persone, che
“non vanno giudicate prima di aver ascoltato la loro storia”. I richiedenti asilo,
sottolineano i vescovi, “non sono una questione legale, ma una questione di diritti
umani, anzi una questione morale”. L’appello della Chiesa allo Stato, dunque, è a
“trattare l’argomento come un tema umanitario”, evitando che “esseri umani diventino
pedine di un dibattito politico”, anche in nome di quella “generosità australiana
che, nel corso degli anni, ha fornito rifugio a popolazioni indifese, in fuga dalla
loro patria”. Una tradizione di accoglienza che, concludono i vescovi, “ha reso le
persone orgogliose di essere australiane”. (I.P.)