Un'indagine sulle condizioni di vita dei rom a Milano
Come vivono i Rom nelle aree dismesse e nei campi non autorizzati di Milano? Lo rivelano
i volontari di Medicina di Strada del Naga, associazione impegnata per i diritti di
stranieri e zingari, realizzando un’indagine pubblicata di recente sulla rivista “Epidemiologia
e Prevenzione”. In due anni, i volontari hanno visitato circa 1.100 persone analizzando
condizioni abitative, lavoro, livello di scolarità, malattie più diffuse. 15 anni
in meno rispetto agli italiani è l’aspettativa di vita di questa popolazione rom.
Sui principali dati dell’indagine ascoltiamo, al microfono di Adriana Masotti,
Cinzia Colombo, ricercatrice del Naga. R. – Dalle indagini sono emersi
potenziali fattori di rischio legati soprattutto alle condizioni in cui i rom vivono,
quindi agli insediamenti, che sono prevalentemente senza acqua potabile, senza energia
elettrica se non con dei generatori, che sono costituiti da materiale di recupero,
baracche, a volte sono tende … Diciamo che il panorama che abbiamo trovato è che ci
sono condizioni abitative insieme a condizioni sociali –cioè basso tasso di occupazione,
bassa scolarità e basso reddito, quindi povertà – che costituiscono potenziali fattori
di rischio per la salute di queste persone. Le persone visitate hanno frequentato
la scuola in media per cinque anni; la metà sono in Italia da massimo tre anni, però
c’è una grande variabilità. Ci sono alcuni che sono in Italia da molti anni, tanto
che la media finale degli anni di permanenza è di 16 anni. Altri dati che abbiamo
valutato sono il lavoro: il 16 per cento delle persone che abbiamo intervistato ha
dichiarato di lavorare, sono soprattutto uomini – muratori, operai, meccanici, magazzinieri
– però la maggior parte delle volte si tratta di lavoro in nero. Abbiamo una media
di 2,8 figli per famiglia a fronte di una media di 1,4 tra la popolazione italiana.
Tra le donne visitate che hanno compiuto i 14 anni, un terzo ha avuto almeno un’interruzione
di gravidanza: noi però non abbiamo fatto distinzione tra interruzione volontaria
e aborti spontanei. Riguardo invece all’abitudine al fumo, poco più della metà delle
persone dichiara di fumare e in particolare un quinto di queste persone è forte fumatore.
Il ragazzo più giovane che ci ha detto di fumare aveva 12 anni: e uno dei fattori
di rischio per la salute, sicuramente, è il fumo.
D. – Quanto influisce
sulla salute, anche la mancata conoscenza di elementi di prevenzione, la mancata conoscenza
di ciò che fa male?
R. – Questo è uno degli ambiti in cui varrebbe la
pena, per chi si occupa di salute pubblica, fare degli interventi che siano veramente
interventi informativi, di educazione sanitaria per esempio per quanto riguarda le
vaccinazioni dei bambini: dire dove possono essere fatte, con quale frequenza, a cosa
servono … E allo stesso tempo, c’è un problema di accesso ai servizi sanitari.
D.
– Quali sono le malattie a cui i rom sono più esposti?
R. – Noi abbiamo
trovato malattie dell’apparato respiratorio, malattie dell’apparato osteo-articolare
e malattie gastroenteriche. Queste sono malattie che potrebbero essere legate al disagio
abitativo. Quello che abbiamo trovato poco, e che sappiamo però esserci, sono malattie
come quelle cardiovascolari, il diabete, le malattie del fegato … Le abbiamo trovate
poco perché il tipo relazione di cura che si riesce ad avere non permette di avere
un approfondimento diagnostico; non permette di capire se quello che si ipotizza solo
come un’ ipertensione – ad esempio –lo è davvero, di seguirla poi nel tempo. Questo
perché noi andiamo nei campi o negli insediamenti che poi nel tempo vengono sgomberati
e quindi non sempre riusciamo a seguire le persone. Poi, c’è la difficoltà di fare
esami di secondo livello, cioè esami diagnostici di approfondimento perché – appunto,
come dicevamo – l’accesso alle strutture sanitarie è limitato, per queste persone.
E quindi, c’è tutta una gamma di malattie che non vengono né rilevate né tantomeno
curate.
D. – Parlando dei rom, molti sono infastiditi dal modo in cui
vivono, appunto, spesso in mezzo alla sporcizia, addirittura ai topi … Quindi, si
auspica che lo Stato, per loro, trovi soluzioni diverse: dai campi attrezzati alle
case in muratura, che anche loro vorrebbero …
R. – La nostra attività
di medicina di strada, che dura da anni, all’inizio si occupava di persone che vivevano
nelle aree dismesse: quindi, di qualsiasi persona, di qualsiasi gruppo. Nel tempo,
abbiamo incontrato sempre più spesso gruppi di persone rom che, da quello che noi
abbiamo valutato, sono le persone che più difficilmente riescono ad inserirsi in una
rete sociale diversa, perché vengono discriminati. Poter lavorare ad esempio: a volte
se si sa che una persona è rom non la si fa lavorare. Così è anche per la casa. Quindi,
sono un gruppo fortemente discriminato. Noi, come “Naga”, siamo contro i campi, ma
siamo anche contro gli sgomberi senza soluzione alternativa. Gli sgomberi non fanno
che aumentare i disagi di queste persone, perché la ricerca è sempre quella di trovare
quei margini di spazio e di territorio in cui è sempre più difficili vivere. Di fatto,
dall’Unione Europea si sottolinea uno stato d’emergenza che non è più – come si diceva
in Italia– appunto l’emergenza rom, che non esiste; è l’emergenza di quei Paesi europei
che discriminano i rom.
D. – Quello zingaro è anche forse un popolo
giovane, che fa più difficoltà di altri gruppi ad organizzarsi diversamente?
R.
– Sicuramente è un popolo giovane, anche perché hanno un’aspettativa di vita molto
più bassa delle popolazioni di riferimento: addirittura, si parla di 15 anni di aspettativa
di vita in meno! (gf)