2012-01-22 08:39:53

Servitore della pace in tempo di guerra: la storia di mons. Biguzzi, vescovo emerito di Makeni in Sierra Leone


Gran parte del ministero di vescovo l’ha vissuta difendendo il suo gregge dalle atrocità della guerra civile e poi spendendosi perché tutto il Paese ritrovasse la strada della riconciliazione. Dopo 25 anni, mons. Giorgio Biguzzi, 75enne vescovo di Makeni in Sierra Leone, ha ceduto il passo per limiti di età al suo successore, mons. Henry Aruna. Ciò che non può dimenticare è la lunga storia spirituale e affettiva che lo ha indissolubilmente legato al piccolo Stato africano, conosciuto sin da quando – in veste di missionario saveriano – vi si recò già nel 1975. Una storia che il presule ha ripercorso al microfono di Alessandro De Carolis, a partire dallo scoppio delle violenze interne, nel 1991:RealAudioMP3

R. - Ricordo anche lì dei momenti di grande sofferenza e di atrocità. Tutte le comunità sono state disgregate. La grazia di Dio ci ha assistito e poi, anche insieme ad altre fedi religiose, siamo potuti rimanere per promuovere la pace e la riconciliazione.

D. – Di mons. Biguzzi possiamo dire che il mondo ricorda la sua guerra nella guerra, per così dire, contro uno dei drammi peggiori: la piaga dei bambini-soldato…

R. – Certamente. Quello che ho avvertito, come vescovo, è che appartenevo alla gente. Dovevo stare con loro, perché questi bambini erano le prime vittime. Erano addestrati ad uccidere e a sparare, si vedeva la confusione nei loro occhi. Ma quando poi si sono sentiti avvicinati e amati, si sono aperti. La Chiesa è stata molto presente in questi momenti di dolore, e io devo ringraziare anche l’aiuto che abbiamo avuto dall’esterno - soprattutto dalla Chiesa italiana - nell’aiutare questi bambini-soldato a reinserirsi nella società.

D. - Dopo la guerra, la pace. Il suo ruolo cambia ancora: fino a quel giorno – che immagino da lei sperato a lungo – del 2003, con la firma dell'Accordo tra governo e ribelli…

R. – Sì. Dopo la guerra ci siamo trovati agli inizi di una nuova Sierra Leone e allora ci siamo impegnati subito per la ricostruzione. Innanzitutto, per le strutture in campo scolastico, medico, e così via. Poi abbiamo convocato il primo Sinodo diocesano, per puntare ed investire sulle persone, specie i laici, la vita familiare, i giovani, le scuole. Siamo arrivati al punto di fondare un’università. Inoltre, il grosso del lavoro della ricostruzione ha riguardato la presenza nella Commissione Giustizia, pace e diritti umani. Vorrei sottolineare un’altra cosa: oggi la nostra diocesi ha maturato anche un forte spirito missionario. Noi cristiani, essendo di tante comunità, andiamo nei villaggi più vicini e fondiamo un’altra comunità. Inoltre, dal punto di vista materiale, pur essendovi 55 mila cattolici in tutta le diocesi, abbiamo comunque raccolto quest’anno 19 mila dollari in offerte per la Terra Santa per l’Obolo di San Pietro. Si comincia tre mesi prima, piantando ad esempio arachidi, riso e patate, che poi si vendono e il loro ricavato viene dato per le Giornate missionarie mondiali.

D. - Cosa preferisce sottolineare di questi 25 anni di ministero, come lei diceva, "missionario"?

R. - È certamente un momento di grande grazia perché è il Signore che agisce, che ci ama. Noi, come Chiesa, vogliamo continuare a sostenerci l’un l’altro nel nostro cammino. Ci piacerebbe, magari, essere maggiormente ascoltati sulle decisioni importanti che riguardano il nostro futuro. Noi ci affidiamo a Dio, che ci tiene per mano. E questo ci dà coraggio e pace. (bi)







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