A marzo, il "Cortile dei Gentili" a Palermo. Giusto Sciacchitano: un segno di cultura
contro il degrado del crimine
Il Cortile dei Gentili sarà a Palermo dal 29 al 30 marzo. Dopo Bologna, Parigi, Bucarest,
Firenze, Tirana e Roma, l’iniziativa promossa dal Pontificio Consiglio per la Cultura,
per rilanciare il dialogo tra credenti e non credenti sui grandi temi che interrogano
il mondo contemporaneo, farà dunque tappa nel capoluogo siciliano, crocevia di culture
e tradizioni ma anche luogo e simbolo della lotta al crimine organizzato. Roberta
Gisotti ne ha parlato con il dott. Giusto Sciacchitano, sostituto procuratore
nazionale antimafia:
D. – Dr.
Sciacchitano, dal suo osservatorio privilegiato quale siciliano, e nel suo ruolo istituzionale,
quali attese da questo incontro che si terrà a Palermo?
R. – Io credo
che l’incontro a Palermo possa essere di grande importanza per diversi punti di vista.
Uno, perché la Sicilia è luogo di tradizionali incontri tra culture diverse, tra sistemi
diversi, tra tradizioni diverse. E naturalmente, faccio riferimento alla nostra storia,
che ci ha visti dominati da tanti popoli diversi con i quali, quindi, abbiamo dovuto
comunque colloquiare. Quindi, siamo stati dominati dalla loro cultura, siamo stati
dominati dai loro sistemi giuridici e abbiamo anche avuto le loro religioni. Per esempio,
faccio riferimento agli arabi che secoli fa hanno portato in Sicilia la religione
musulmana: così noi siamo abituati a parlare con loro, a dialogare. Inoltre, Palermo
e la Sicilia sono certamente caratterizzate da due aspetti, uno negativo e uno positivo.
Siamo al centro della mafia, nel senso che Palermo può essere considerata la capitale
della mafia; ma è anche la capitale, riconosciuta dalle Nazioni Unite, dell’antimafia.
Cioè, a Palermo è stata firmata la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità
organizzata. Allora, questo significa che questi temi certamente fanno cultura. Fanno
cultura nel dialogo interreligioso: fanno cultura perché la mafia – ma non soltanto
quella locale, anzi non mi riferisco affatto a quella locale, ma al concetto ben più
ampio di crimine organizzato internazionale – deve essere contrastata certamente con
i mezzi giuridici, ma anche con la cultura. Perché la mafia si basa su una "in-cultura".
E allora, un incontro come questo, che guarda alla cultura, guarda al modo di cambiare
l’uomo nel suo interno, non può non dare attenzione a questa realtà.
D.
– La cultura della legalità che si raffronta ogni giorno, si scontra con la “cultura”
dell’illegalità, non è certo un problema della Sicilia e dell’Italia, ma del mondo
intero. Quindi sarà questa un’occasione per guardare a questo problema, anche in Italia,
con una visione universale …
R. – Ma sicuramente! Bisogna, in questo
momento, prendere lo spunto perché Palermo ha quella caratteristica che abbiamo detto
ma guardare veramente al mondo intero. Oggi il problema della lotta alla criminalità
organizzata nel suo insieme è un problema culturale, politico, sociologico, economico
che riguarda il mondo. Non riguarda certamente né l’Italia né, ovviamente, solo la
Sicilia. Guardiamo alla realtà dell’Estremo Oriente, guardiamo alla realtà dei Paesi
del Sud America, guardiamo alle realtà dell’Est Europeo, all’area dei Paesi balcanici,
Paesi tutti attraversati da rotte attraverso le quali passano tutti i traffici illeciti
dei vari gruppi organizzati. Quindi, il problema è assolutamente mondiale e a questo
noi guardiamo con l’attenzione che si deve.
D. – Dalla sua esperienza
personale, si è mai sentito o si sente stanco?
R. – No. Per mia fortuna.
Anche se l’età avanza, rimango ancora forte nel convincimento che la nostra opera,
anche se non sembra, i suoi frutti tuttavia li lascia. Il ragionamento che ho fatto
oggi mi nasce anche dal ricordare quanto mi disse uno dei primissimi pentiti di mafia,
secondo il quale la lotta alla mafia si fa sì con il sistema repressivo, ma si fa
anche attraverso un’azione profonda nella scuola, e quindi tramite la cultura. Ed
è questo che mi da il convincimento che nel breve o medio periodo, il problema noi
possiamo affrontarlo. (gf)