Il Cir al governo Monti: rivedere il trattato di amicizia italo-libico
Gli immigrati ''non sono numeri'': il Papa aveva usato queste parole domenica scorsa,
Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, per ricordare che si tratta di esseri
umani “che cercano un luogo dove vivere in pace”. Parole apprezzate molto da chi da
sempre lavora a sostegno di chi è costretto a fuggire dalla propria terra. Oggi pomeriggio,
il Cir, il Consiglio italiano per i Rifugiati, presenta a Milano una mostra fotografica
inserita nel progetto multimediale Asylum, preceduta da un dibattito sulla necessità
di attualizzare la convenzione di Ginevra, nata 60 anni fa e ancora oggi il più importante
strumento di tutela per i rifugiati. Francesca Sabatinelli ha intervistato
Christopher Hein, direttore del Cir:
R. – Il Papa,
in questa occasione della Giornata mondiale, ha fatto propria un’esplicita menzione
dei rifugiati, e devo dire che naturalmente ci ha fatto molto piacere, sottolineando
anche le necessità di accoglienza di chi viene da noi come persona che è dovuta fuggire
dal proprio Paese, per i motivi che sono elencati nella definizione universale della
Convenzione di Ginevra del 1951. Dobbiamo riflettere sulla validità oggi di questa
definizione. Oggi parliamo dei rifugiati per motivi ecologici, per il clima, per esempio,
una circostanza assolutamente non prevista dalla definizione della Convenzione di
Ginevra: persone espulse dal loro territorio a causa di profondi cambiamenti climatici
o altri interventi ambientali. Ci dobbiamo interrogare anche sulla responsabilità
internazionale di questi fenomeni che, oggi come oggi, non possiamo più considerare
semplicemente disastri naturali, come si faceva tradizionalmente.
D.
– Questo ci fa riflettere sul fatto che occorrerebbe, dunque, un’attualizzazione della
Convenzione…
R. – In un certo modo alcuni passi sono già stati fatti,
non a livello globale, ad esempio a livello dell’Unione Europea: da sette anni è stata
introdotta la cosiddetta protezione sussidiaria in favore di persone che non sono
rifugiate, ai sensi di questa definizione piuttosto limitata del rifugiato, ma che
comunque per determinati motivi non possono tornare nel loro Paese di origine, perché
temono il rischio della tortura, del trattamento inumano o degradante. La protezione
sussidiaria opera anche in favore di persone che provengono da zone di guerra dove
la loro vita, la loro libertà, sono minacciate a causa dell’evento bellico. Non si
parla quindi di persecuzioni, ma di circostanze che comportano un danno grave alle
persone, che impediscono loro di ritornare. In Italia abbiamo una terza forma di protezione,
la cosiddetta protezione umanitaria, per circostanze che non sono previste in una
normativa comunitaria e che per molti sono importanti.
D. – Proprio
l’Italia però spesso è bersaglio delle accuse degli altri Paesi europei per il non
rispetto degli standard di accoglienza ai rifugiati…
R. – Questo dibattito
è cominciato non certamente per quanto riguarda l’Italia, ma per la condizione in
Grecia, dove è intervenuta anche una sentenza importante della Corte di Strasburgo
sui diritti umani, dicendo che in Grecia non ci sono le condizioni per inviare un
richiedente asilo. In Italia la situazione non è certamente comparabile. Vorrei, però,
sottolineare, comunque, che abbiamo delle grandi lacune di accesso per molti richiedenti
asilo nelle strutture di accoglienza, inoltre, chi, dopo una procedura faticosa, viene
riconosciuto rifugiato, non trova molto spesso assistenza nel percorso di integrazione
e quindi vive in edifici occupati, sulle strade, presso le stazioni…
D.
– Il Cir è stato fortemente critico nei confronti della politica del precedente governo
italiano, soprattutto verso l’agire del Ministero dell’Interno. Auspicate una maggiore
collaborazione con l’attuale esecutivo?
R. – Certamente sì, penso che
ci sia un cambiamento di clima. Dobbiamo, però, essere molto vigili. Nel prossimo
incontro a Tripoli tra il presidente del Consiglio dei Ministri, Monti e il ministro
degli Affari Esteri Terzi con la controparte libica, si parlerà certamente anche del
Trattato di amicizia tra Italia e Libia. Questo Trattato ha portato al respingimento,
dal mare verso la Libia, di centinaia e centinaia di persone, a partire dal maggio
2009. Ci auguriamo che questa politica non prosegua e che una collaborazione tra i
due Paesi non si focalizzi solo sul contrasto dell’immigrazione clandestina, ma che
veda la realtà in faccia. La maggior parte di queste persone sono persone che hanno
bisogno di protezione e quindi bisogna trovare il modo di farli arrivare in modo regolare,
senza rischiare la vita. Ci auguriamo che il nuovo governo, e anche il nuovo ministro
dell’Interno, abbiano una maggiore sensibilità. (ap)