Gli immigrati asiatici in Italia, risorsa da valorizzare. Da Manila il richiamo di
Caritas-Migrantes
Sono oltre 4 milioni gli immigrati asiatici nell’Unione Europea. L’Italia figura al
secondo posto per presenze, assieme alla Gran Bretagna, e dopo la Germania. A prevalere
sono gli uomini, sebbene negli ultimi anni sia notevolmente aumentato il numero delle
donne, soprattutto per i ricongiungimenti familiari e per l’inserimento nel lavoro
domestico. Sono i dati emersi oggi durante il viaggio-studio “Asia-Italia: scenari
migratori”, che si sta svolgendo a Manila. FrancescaSabatinelli ha
raggiunto nella capitale filippina FrancoPittau, curatore del dossier
statistico immigrazione Caritas-Migrantes:
R. – Una
cosa veramente importante consiste nella constatazione che l’Asia, questo continente
che viene ritenuto il perno del mondo di domani, il motore economico, in Italia conta
o la prima collettività, come avviene per esempio per la Cina, per le Filippine, per
il Bangladesh o la seconda collettività, come avviene per l’India e per il Pakistan.
Siamo collegati con questo continente e quindi, se l’immigrazione vuole essere presa
come un collegamento fruttuoso, noi lo possiamo sfruttare.
D. – A Manila
avete messo in luce che gli immigrati asiatici, presenti in Italia, stanno resistendo
meglio alla crisi. Come mai?
R. – Ci sono diverse ragioni, a seconda
delle collettività. Prendiamo la Cina, il Bangladesh e in parte anche il Pakistan:
sono collettività molto dedite non solo al lavoro dipendente, ma anche a crearsi lavoro
per conto loro. Il caso più tipico è quello dei cinesi, ma anche le altre due che
ho citato non sono da meno. Loro hanno questa dedizione a creare lavoro attraverso
l’imprenditoria e non a caso nel 2010, quindi in un anno di piena crisi, come sappiamo,
i cittadini stranieri sono stati in grado di aumentare le loro imprese del 10 per
cento.
D. – Della comunità cinese si è parlato molto negli ultimi tempi,
per via della cronaca. Negli anni, però, la comunità ha fatto pensare di volersi integrare
o relazionare con l’ Italia meno delle altre, il che ha generato convinzioni negative
anche sul loro lavoro …
R. – Quando i cinesi creano queste loro imprese,
noi diciamo sempre: “Hanno messo insieme tanti soldi perché glieli ha dati la mafia
cinese”. Però, noi sappiamo che c’è una grande solidarietà etnica per cui – per esempio
– vanno ad un matrimonio, e sono in grado di mettere da parte 200 mila Euro per i
nuovi sposi, affinché possano comprare la casa o possano fondare l’azienda. E noi
diciamo sempre: “Eh, qui c’è la mano della mafia”. Ma non è così… ci sarà anche la
mano della mafia, ma non è ‘sempre’ così! Spesso diciamo anche che lavorano di più
perché imbrogliano. E’ vero che c’è il terribile problema della contraffazione, che
è una concorrenza sleale e qui non devono esserci mezzi termini: uno deve dire quello
che fa, deve rispettare le leggi doganali e via dicendo. Però, ci sono tanti cinesi
che lavorano!
D. – E’ un fatto però che nella comunità cinese girino
più soldi che nelle altre comunità …
R. – Però loro sono anche in numero
maggiore imprenditori. Bisognerebbe avere questo equilibrio: far rispettare le leggi
anche attraverso un’azione ispettiva e poi, se uno ha lavorato di più, ci ha messo
più ingegno, prenderne atto. Per esempio: i commercianti cinesi dell’Esquilino [quartiere
di Roma], sono stati per anni al centro di tutto il commercio cinese in Europa, una
cosa enorme! Come facevano? Per vendere di più, si sforzavano di produrre a basso
prezzo, c’era poco guadagno ma molti clienti. Oppure, si mettevano insieme quattro-cinque
imprenditori … E allora, apprezziamo anche queste cose che consentono la riuscita
sulla base di legalità.
D. – In conclusione, l’Italia come dovrebbe
gestire – anche per trarne beneficio – la presenza degli immigrati asiatici?
R.
– Noi siamo un Paese che deve aiutare le persone che vengono a lavorare, che però
deve essere anche aiutato. Oggi abbiamo estremamente bisogno di aiuto. Abbiamo cinque
milioni di cittadini stranieri, se sviluppiamo una mentalità positiva, questo si potrà
ripercuotere nel commercio; se noi aiutiamo gli imprenditori, possiamo essere anche
imprenditori-ponte; se noi vogliamo fare “lobbying” nei confronti dei loro Paesi,
una comunità trattata bene potrà essere una lobbying. Il futuro si fa così. La conoscenza
che circola adesso sugli immigrati, in questo caso sugli immigrati asiatici, è molto
carente. Noi non ci rendiamo conto che in Italia siamo, dopo la Germania e insieme
alla Gran Bretagna, un polo asiatico molto importante. E allora, se l’Asia è il continente
del futuro, siccome l’Asia è già presente da noi, anche noi ne dobbiamo trarre benefici.
(gf)