Da Ouidah a Cuba, passando per il Messico: Benedetto XVI sulla rotta degli afrodiscendenti
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La “Porta del Non-ritorno” e la “Porta del Perdono”. Sono lì a pochi metri di distanza
l’una dall’altra, tra la spiaggia e la cittadina di Ouidah che ha visto partire milioni
di africani incatenati, e l’arrivo del Vangelo, portato dai missionari. Sono lì a
richiamare al dovere di “denunciare e di combattere ogni forma di schiavitù” - ha
detto Benedetto XVI, che ha scelto, lo scorso novembre, proprio Ouidah, con tutta
la sua carica simbolica di sofferenze e speranza, per consegnare ai vescovi africani,
nella Basilica dell’Immacolata Concezione di Maria, l’esortazione apostolica “Africae
Munus”, sottolineando che “la Chiesa in Africa è chiamata a promuovere la pace
e la giustizia” nello spirito di riconciliazione che ci viene da Dio.
Il
Papa era ancora in Benin che già si annunciava il suo viaggio, a marzo prossimo, in
Messico e Cuba, due dei punti di approdo di quei milioni di africani passati dalla
Porta del Non-ritorno. Due Paesi dove si trovano oggi parte di quei circa 300 milioni
di afrodiscendenti sparsi per il mondo, soprattutto nelle Americhe e Caraibi. A loro
le Nazioni Unite hanno dedicato l’intero anno 2011. L’intento: “rinforzare le azioni
nazionali e la cooperazione regionale e internazionale a beneficio delle persone di
discendenza africana” affinchè possano godere di tutti i diritti umani, possano partecipare
e integrare tutti gli ambiti della vita sociale e sia promossa una “maggiore conoscenza
e rispetto della loro eredità culturale”. Le stigmate lasciate dalla ‘tratta’ transatlantica
sono infatti lungi dall’essere cancellate e il razzismo e la discriminazione che ne
derivano continuano a condizionare la vita delle persone di discendenza africana ovunque
si trovino. “La comunità internazionale non può accettare che comunità intere siano
marginalizzate a causa del colore della pelle”, sosteneva Ban Ki-moon, sollecitando
progetti e programmi di attività mirati a dare corpo agli obbiettivi dell’Anno Internazionale
degli Afrodiscendenti. E risposte in tal senso non sono mancate. A cominciare dall’ONU
stesso con il progetto di un imponente monumento nella propria hall in memoria delle
vittime di quel criminale traffico attraverso gli oceani. Ma poi, dall’Angola al Brasile,
dal Gabon al Perù, seminari, incontri culturali, studi, vertici, pubblicazioni, misure
giuridiche o un maggior sforzo di applicazione di quelle già esistenti… Hanno cercato
di richiamare l’attenzione sulle ingiustizie e disparità che rendono difficile l’integrazione
e l’ascesa sociale degli afrodiscendenti. I quali tuttavia hanno dato un enorme contributo
all’arricchimento non solo economico ma anche umano e culturale al mondo. Basti pensare
nelle lingue creole, nelle diverse espressività religiose, nel jazz o nel tango che
fanno oggi gioire molte persone, ignare della loro origine nelle piantagioni del nuovo
mondo, dove hanno rappresentato per lo schiavo nero una forma di resistenza all’annientamento
fisico, culturale e spirituale.
Riconoscere tutti gli ostacoli razziali allo
schiudersi sociale dell’afrodiscendente, e farne fronte seriamente, è non solo un
dovere morale di tutti, ma anche un grande contributo alla pace, giustizia e riconciliazione
su scala mondiale. Dal canto suo l’Africa dovrà fare il massimo per uno sviluppo integrale,
in modo da avere un riflesso positivo sui suoi discendenti nel resto del mondo, che
l’Unione Africana ha convenuto di definire “sesta regione”, nel tentativo di cogliere
la grande energia che la diaspora rappresenta per la costruzione della Grande Africa. La
Chiesa si è lanciata a capofitto in questo processo. “Africae Munus”, frutto della
riflessione dei vescovi sul ruolo della Chiesa nella promozione della pace, giustizia
e riconciliazione nel Continente, ne è un esempio eloquente e nello stesso tempo è
un’incitamento all’Africa, a far tesoro delle energie positive che ha in sé e a renderle
utili al resto del mondo: “Africa, Buona Novella per la Chiesa, diventa proprio
questo per il mondo intero” – ha esortato il Papa in Benin.
Benedetto
XVI si recherà in Messico per il bicentenario dell’indipendenza dei Paesi latino-americani.
Ma molto prima di questo evento gioioso (l’indipendenza), a volere una rottura con
la Spagna erano stati gli schiavi dell’attuale Angola, che già nel XVII/XVIII secolo
cercarono, invano, di proclamare un regno africano in terre messicane. Maggioritaria
nell’esercito, allora formato essenzialmente di schiavi, la presenza africana in Messico
è andata, tuttavia, diluendosi. Oggi sarebbe forse necessario uno studio del DNA (tra
l’altro già in uso), per trovarne traccia nella popolazione. Lo stesso non si può
dire di Cuba, dove gli afrodiscendenti e il loro apporto culturale sono ben visibili.
Secondo una leggenda, un loro ascendente sarebbe, addirittura, tra coloro che hanno
avvistato in mare la Madonna della Carità del Cobre, il cui giubileo porta il Papa
in quell’importante isola caraibica. Anzi, proprio a El Cobre si sono verificate le
prime rivolte dei neri a Cuba già a partire dal XVI secolo. All’epoca della conquista
dell’Africa e della tratta negriera la Chiesa, impotente di fronte alla forza del
mercantilismo, diede tuttavia un segno positivo, chiedendo che gli schiavi fossero
battezzati e ricordando, in un certo qual modo, che erano persone e non “cose”, come
li classificò giuridicamente il famigerato “Codice Nero” promulgato nel 1685 da Luigi
XIV.
Il Papa ha a cuore il “cammino d’integrazione” dell’America Latina e “del
suo nuovo protagonismo emergente nel concerto mondiale”, così come la ricerca di una
sana libertà a cui anelano quei popoli e che sin dai primordi ha tenuto accesa la
fiamma della speranza, nell’animo di quegli schiavi strappati violentemente alla Madre
Africa, culla dell’umanità. Che questa integrazione e questo nuovo protagonismo
non si faccia senza di loro, e che la benedizione che il Papa porterà a tutta l’America
Latina giunga anche a loro. E che questo sostegno, in un’ottica di giustizia e
pace per tutti, aiuti a percorrere fino in fondo le piste tracciate dall’Anno Internazionale
degli Afrodiscendenti e dal “Gruppo di Lavoro di Esperti su Persone di Ascendenza
Africana”. Secondo questo Gruppo di Lavoro, creato nel 2001 in seguito alla Conferenza
di Durban sul razzismo, le maggiori sfide che gli afrodiscendenti affrontano riguardano
la loro rappresentazione sociale e il trattamento, spesso iniquo, nelle strutture
amministrative di giustizia, educazione, salute, abitazione … Le quali diventano in
questo modo, secondo la Dottrina Sociale della Chiesa, “strutture di peccato”. Che
la visita del Papa contribuisca a renderle più umane.
Tutto sommato, il bilancio
dell’Anno internazionale dell’Afrodiscendente è stato positivo. Alcuni esperti vedono
ad esempio nella nomina dell’afrodiscendente, Susana Baca al posto di Ministra della
Cultura del Perù, proprio nel 2011, un’espressione positiva degli obbiettivi voluti
da Ban Ki-moon con la proclamazione dell’Anno Internazionale degli Afrodiscendenti.”
La palla è dunque lanciata, speriamo che il gioco continui e che abbia su
di sé più riflettori di quanto ha avuto nell’Anno 2011, pur se ricco di eventi e riflessioni
sulle persone di discendeza africana. Un segno di speranza viene forse dal fatto che
il Brasile promette di riunire i frutti di queste riflessioni e di pubblicare diversi
libri nell’ambito della “Collana Conosca di Più”, orientata a soddisfare la domanda
di materiale didattico nell’area della cultura afro-brasiliana. Che la Madonna
di Guadalupe, Patrona dell’America Latina, vegli su tutto questo.
(Maria
Dulce Araújo Évora – Programma Portoghese/Africa).