In mostra al Quirinale "Noi, l'Italia", opere di disabili mentali e fisici della Comunità
di Sant'Egidio
Centocinquanta opere per raccontare l’Unità d’Italia sono in allestimento fino al
31 gennaio al Palazzo del Quirinale a Roma. “Noi, l’Italia” è il titolo della mostra,
inaugurata nelle scorse settimane dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano,
e frutto dei laboratori con disabili mentali e fisici della Comunità di Sant’Egidio.
Benedetta Capelli:
Un Tricolore
collocato sulle pareti e che sembra avvolgere il visitatore; 150 piccole tele per
raccontare l’Italia e una penisola adagiata su numerosi tavoli di legno, frutto dell’incontro
di Anton Roca con diversi ragazzi disabili. E’ il percorso della mostra “Noi, l’Italia”:
un titolo scelto da uno dei giovani coinvolti nel progetto. Cristina Cannelli,
coordinatrice dei laboratori sperimentali d’arte della Comunità di Sant’ Egidio:
“E’
l’Italia fatta da gente debole ma che ha molte cose da dire. Benché si tratti di persone
forse considerate anche molto meno rispetto a ciò che sono, hanno uno sguardo sull’Italia
che comprende tutti, senza alcun pregiudizio. Come dice Sonia in un testo digitato
al computer, perché è una persona che non può parlare verbalmente, ‘è un’Italia mista,
colorata, come lo mondo’. L’Italia è unita, siamo uniti perché solo insieme si ha
senso, uniti perché insieme si fa la storia, perché da soli si è tristi.
La
storia dell’Unità d’Italia che passa attraverso lo studio ma anche le immagini indelebili:
Pio XII dopo il bombardamento di Roma o l’incontro di Assisi promosso da Giovanni
Paolo II. Ci sono tutti in fila i pennini da inchiostro a simboleggiare il voto nel
1946 alle donne; piccole 500 per raccontare il boom economico oppure la pipa di Pertini
appesa alle sbarre di una prigione per disegnare la Resistenza. Ancora Cristina
Cannelli:
"Vi sono alcune opere storiche, penso a 'La
barba di Cavour e i capelli di Gramsci', di Fabio Lo Surdo, penso alla luminosa idea
dell’Unità d’Italia fatta con piccole lampadine, ma penso anche all’Italia del dopoguerra,
al problema della ricostruzione, alle case popolari, al piano Marshall ed al discorso
della guerra in sé".
A emergere chiaramente è il rifiuto dei conflitti,
l’attenzione allo straniero, il voler essere parte di un mondo esprimendo la propria
diversità. “Ognuno ha il suo tempo per imparare – scrive Giancarlo, uno dei tanti
artisti – io per esempio imparo piano piano ma imparo, io capisco, ma subito non so
dire, rispondere”:
“Da parte di queste persone disabili c’è un impegno,
anche spirituale, continuo di attenzione verso il mondo, perché la debolezza non vuol
dire costrizione alla chiusura. La debolezza vuol dire anche apertura al mondo e capacità
di comprendere anche le sofferenze di chi è lontano, magari partendo dalla propria”.