2012-01-15 08:54:04

In Libia si prepara il processo a Saif-al Islam Gheddafi


Missione a Tripoli domani per il capo della giunta militare egiziana, Hussein Tantawi, che incontrerà il leader del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) libico, Mustafa Abdel Jalil. Al centro dei colloqui, un eventuale aiuto egiziano alla ricostruzione della Libia e i futuri rapporti tra i due Paesi, protagonisti negli ultimi mesi di grandi cambiamenti politici a seguito delle rivolte che hanno portato alla caduta di Hosni Mubarak e Muammar Gheddafi. In Libia, intanto, mentre continuano gli scontri tra milizie rivali, con un bilancio di almeno 3 morti a sud di Tripoli, resta al centro dell’attenzione il futuro processo a Saif-al Islam Gheddafi: il figlio del colonnello è ricercato dalla Corte penale internazionale, ma le autorità vorrebbero giudicarlo in patria, dove rischia la pena di morte. Davide Maggiore ha raccolto l’opinione di Fausto Pocar, già presidente della Corte Onu per l'ex Jugoslavia e attualmente componente del Tribunale d'Appello per il Rwanda:RealAudioMP3

R. - La situazione della Libia è stata riferita alla Corte penale internazionale dal Consiglio di Sicurezza con la prima risoluzione che lo stesso ha adottato. Le indagini sono state fatte dal procuratore della Corte penale. Bisogna però tenere presente che lo statuto della Corte penale internazionale prevede l’intervento della Corte solo a titolo sussidiario, a titolo complementare. La giurisdizione spetta primariamente agli Stati e quindi dipende se lo Stato libico sarà in condizione e avrà la volontà di giudicare direttamente i responsabili di violazione del diritto. Se lo facesse - e aggiungo lo facesse con processi equi - non ci sarebbe ragione di un intervento della Corte. Ritengo che forse ci sia qualche problema a questo riguardo, tenuto conto che - come sappiamo - crimini sono stati commessi non solo da esponenti del regime ma anche da coloro che hanno combattuto per liberarsi dal regime.

D. - Le nuove autorità di Tripoli, inoltre, hanno ricevuto in visita il presidente sudanese Omar al-Bashir, ricercato all’Aja per crimini contro l’umanità. È il segnale di un possibile rapporto critico con le istituzioni internazionali?

R. - Spero si sia trattato di un semplice episodio. La Libia non era tenuta ad arrestare Bashir perché non ha ratificato lo statuto della Corte. Poteva essere costretta nell’ambito di una collaborazione dovuta al Consiglio di Sicurezza. È più problematico il fatto che altri Paesi africani abbiano ricevuto Bashir pur avendo ratificato lo statuto della Corte, essendo, in questo caso, tenuti ad arrestarlo.

D. - Anche dopo la fine formale delle ostilità, la Libia resta un Paese diviso e le milizie sono ancora potenti: attraverso la via giuridica, può esserci una strada per la riconciliazione?

R. - Una strada di riconciliazione c’è sempre. Il problema è che ci sia una volontà di riconciliazione, che non ci siano troppi interessi contrastanti. Credo che la situazione libica sia lungi dall’essere risolta all’interno. Mi auguro che la parte costituita dalle milizie non prenda il sopravvento.

D. - In che modo la comunità internazionale potrebbe affiancare le autorità di Tripoli nella costruzione di istituzioni giuridiche funzionanti, che sono tra le basi di uno Stato stabile?

R. - Credo che la comunità internazionale debba proporsi l’impegno di costituire uno Stato funzionante perché non dimentichiamo che è intervenuta a smantellare un sistema precedente. È vero che questo era basato sulla violenza, però è anche vero che si è creata una situazione instabile. Quindi sarà compito della comunità internazionale, dopo essere intervenuta, fare tutto il possibile per questo. Credo si tratti di una questione non tanto di aiuti economici perché il Paese non è un Paese povero, anzi la Libia è un Paese fondamentalmente ricco rispetto all’entità della popolazione; piuttosto, penso, sia forse un problema di partenariato che permetta di creare una struttura pienamente democratica. (bi)







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