Polemiche nell'Ue sulla nuova Costituzione ungherese: intervista col vescovo ausiliare
di Budapest
Dal primo gennaio, l’Ungheria si è dotata di una nuova Costituzione, denominata “Legge
Fondamentale”. Alcune parti del nuovo codice hanno suscitato reazioni critiche specie
in ambito europeo, soprattutto per ciò che riguarda la libertà di espressione e di
religione nonché l'autonomia della Banca centrale. Al microfono di Marta Vertse,
incaricata del programma ungherese della nostra emittente, il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi
di Esztergom-Budapest, mons. János Székely, illustra le principali novità della
nuova Carta costituzionale:
R. – La nuova
Costituzione di Ungheria approvata nel 2011, che inizia con il nome di Dio nel preambolo,
afferma che la vita umana è da difendere fin dal concepimento e dichiara che l’Ungheria
difende l’istituzione familiare, la quale è un’alleanza di vita fra un uomo e una
donna. La Costituzione precisa inoltre che la famiglia è il fondamento della sopravvivenza
del popolo, e che nello stabilire delle tasse, anche i costi dell’educazione dei figli
devono essere presi in considerazione. E’ chiaro, che a molti intellettuali europei
non piace tale affermazione di valori fondamentali, anzi li stimola all’attacco. Inoltre
il governo ungherese ha imposto una tassa supplementare, transitoria alle banche a
causa della crisi economica. Questa decisione preoccupa non poco il mondo della finanza.
D.
– In che cosa consiste la nuova legge sui media che viene duramente criticata dalla
stampa mondiale?
R. – Nel testo originale della legge c’erano alcune
misure esagerate. La legge voleva, ad esempio lo stesso controllo statale sui giornali,
che gli Stati europei generalmente praticano sulla stampa elettronica. Tali misure
esagerate sono state corrette e cancellate dal testo seguendo i suggerimenti della
Corte costituzionale ungherese e di alcuni organi europei.
D. – Leggiamo
dappertutto che in Ungheria “sono ridotte le confessioni riconosciute” e che è in
pericolo la libertà di religione. Come viene definita dalla nuova legge la nozione
di “Chiesa”?
R. – Lo scopo di questa legge è di togliere lo stato giuridico
di "Chiesa", nel diritto civile ungherese, dalle “Chiese a scopo di lucro” (“business
churches”). Bisogna sapere che in Ungheria, a differenza per esempio dell’Italia,
le scuole e gli istituti sociali e sanitari delle Chiese ricevono dallo Stato lo stesso
finanziamento che hanno scuole e ospedali statali. Le scuole delle Chiese quindi sono
gratuite per le famiglie, nello stesso modo di quelle statali. Per questo sono nate
numerose Chiese fittizie, il cui unico scopo era di approfittare del sovvenzionamento
statale. La legge attuale formula più dettagliatamente le condizioni per cui una comunità
può essere riconosciuta dallo Stato come Chiesa (per es. 1.000 membri, la presenza
della comunità in Ungheria da almeno 20 anni). Quelle comunità religiose, che non
hanno ricevuto lo stato giuridico di “Chiesa” possono tranquillamente esistere come
prima, ma non riceveranno i sussidi statali. La legge stessa conferisce lo stato giuridico
di “Chiesa” ad alcune comunità religiose, le altre possono richiedere tale stato nel
futuro.
D. – Per ciò che riguarda invece la crisi finanziaria, quali
misure ha adottato il governo ungherese?
R. – Certamente, il governo
attuale ungherese ha commesso anche degli errori. Nella legge sulla Banca centrale
ha effettuato alcuni cambiamenti che sembravano diminuire l’indipendenza della Banca
centrale dal governo. In realtà il governo dichiara e vuole rispettare l’indipendenza
della Banca centrale, ma i cambiamenti nella nuova legge erano inutili, e davano adito
ad accuse. Inoltre il governo ha voluto aiutare i privati indebitati in franchi svizzeri
o in euro. Nel fare questo il governo ha cambiato i contratti di prestito contrattati
fra diverse banche e gli indebitati. Questo ha provocato la protesta delle banche.
Il governo avrebbe dovuto mettersi d’accordo con le banche, e dopo un tale accordo
aiutare le persone indebitate. Tale accordo ormai è stato concluso. Gli indebitati,
le banche e lo Stato hanno diviso i costi dell’indebolimento della valuta ungherese.