Viaggio dei vescovi Usa-Ue in Terra Santa. Mons. Fontana: l'unico futuro sono pace
e giustizia
Sono in partenza dalla Terra Santa gli otto vescovi europei e americani che da sabato
scorso hanno visitato alcune delle zone di Israele e della Palestina per portare aiuto
alle comunità cattoliche locali. Il loro annuale pellegrinaggio si è concluso oggi
con la pubblicazione del “Messaggio dei cristiani di Terra Santa”. Alessandro De
Carolis ne ha parlato con il delegato italiano del gruppo di presuli, mons.
Riccardo Fontana, arcivescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro:
R. – In sostanza,
abbiamo detto che noi puntiamo sulla pace, sulla giustizia per tutti, con un’espressione
abbastanza felice che è uscita fuori nel comunicato finale: "Per essere pro-israeliani,
bisogna essere pro-palestinesi" perché la giustizia è per tutti.
D.
– Alla fine di questo lungo pellegrinaggio, un suo bilancio, una sua impressione …
R.
– Direi due punti. Non possiamo più guardare alla situazione dicendo: “Pregheremo
e basta per voi”, perché questo offende Dio. Bisogna metter mano alla solidarietà
concreta. La mia diocesi ha offerto una casa per i poveri. Se ogni diocesi prende
l’impegno di realizzare una casa per i poveri, il problema è risolto. Per l’Europa,
per quanto in crisi, mettere insieme quel po' di denaro necessario per aggiustare
un appartamento non è certo impossibile. C’è un progetto del Patriarcato latino: basta
che ci mettiamo mano tutti insieme e si può fare. Secondo, puntare sulla formazione
delle persone. Fa pena vedere un mare di ragazzi con il mitra in mano, dall’una e
dall’altra parte. Basta. Non bisogna che i ragazzi di 18 anni si formino all’ideologia
secondo cui l’unica salvezza è sparare. Bisogna ritornare agli strumenti della pace.
Innanzitutto, il dialogo: quello è l’unico strumento che abbiamo ma è potentissimo.
D.
– Ha visto, in questi giorni, espressioni concrete di dialogo tra israeliani e palestinesi?
R.
– Una cosa concreta che mi piace dire è che ho visto finalmente passi concreti di
unità all’interno della Chiesa. Lei sa che la Chiesa in Terra Santa ha molti riti
diversi. Dopo il Sinodo e il richiamo forte del Papa – l’abbiamo visto proprio in
questi giorni – c’è una fortissima sinergia del Patriarca latino. Ognuno, con le proprie
differenze, le proprie identità, però si riesce molto di più a parlare con una voce
sola. E questo è già un bel servizio che può rendere la Chiesa.
D. –
Quindi, possiamo dire che la "parola d’ordine" con cui lasciate la Terra Santa sia
questa: unità e azione concreta...
R. – Sì, unità e solidarietà. Abbiamo
incontrato le autorità dell’una e dell’altra parte e abbiamo detto, con molto rispetto
ma con molta chiarezza, che la Chiesa non vuole tacere. Non si tratta solo di povertà
materiale, ma della consapevolezza che c’è una larghissima parte di israeliani che
vuole la pace, come pure una larghissima parte di palestinesi che vuole la pace. Questa
– come dicono nel mondo arabo – è la madre di tutti i problemi. Se lo si risolve,
si compie un atto di civiltà per tutti. E io credo che questa carità la Chiesa la
debba al resto del mondo. (gf)