2012-01-12 14:09:12

Immigrazione. Il ministro Riccardi: va allungato ad un anno il periodo di ricerca lavoro


La crisi economica rischia di vanificare l’integrazione di migliaia di stranieri e di favorire l’irregolarità. Circa 600 mila permessi di soggiorno scaduti infatti non sono stati rinnovati, spesso per la perdita di posti di lavoro. Ecco perché il ministro per l’Integrazione, Andrea Riccardi, ha proposto di prolungare il periodo della ricerca di lavoro dagli attuali sei mesi ad un anno. Da Riccardi apertura anche alla cittadinanza per i figli minori di stranieri. Plaude la Cisl. La responsabile “immigrazione” Liliana Ocmìn spiega che limitare a 6 mesi il periodo di ricerca del lavoro è penalizzante per gli immigrati. Paolo Ondarza l’ha intervistata: RealAudioMP3

R. – Limitare a sei mesi vuol dire penalizzarli, vuol dire anche sperperare potenzialità, competenze e qualificazioni di questi lavoratori, che in qualche modo sono già inseriti nel mercato del lavoro italiano.

D. – Sono scaduti 600 mila permessi di soggiorno, non rinnovati a causa della mancanza di posti di lavoro. Circa 350 mila stranieri potrebbero diventare irregolari. Con quali conseguenze?

R. – Le conseguenze sono ovviamente quelle di essere sfruttati nel mercato del lavoro in nero. Questo ci mette di fronte ad un’esposizione di spread sociale molto alto: il rischio dei conflitti sociali, di esclusione ed anche di emarginazione, per persone che hanno già vissuto un processo di integrazione, è certamente alto. Credo che se riuscissimo ad essere lungimiranti – perché l’Italia deve risolvere questa problematica ed uscire da quest’impasse – potremmo capire quanto ci sia necessaria questa forza-lavoro.

D. – Il ministro Riccardi ha aperto anche alla cittadinanza per i minori stranieri: “diventare cittadini a 18 anni non basta”, ha detto, “perché a quell’età la personalità è già strutturata. Pensarsi italiani aiuta ad integrarsi, va fatto prevalere non lo ‘ius soli’ o lo ‘ius sanguinis’ ma lo ‘ius culturae’”...

R. – C’è un dato di fatto: oggi contiamo più di 900 mila ragazzi cresciuti in Italia o giunti qui sin dalla tenera età. Fare finta che questi ragazzi non siano italiani significa bloccare un processo già avviato. Valorizzarli, invece, vuol dire dar loro il giusto riconoscimento, senza che ciò diventi veicolo di cittadinanza per i genitori. I genitori continueranno sui percorsi già stabiliti, che vengono avviati a 10 anni dal loro arrivo – che considero una tempistica alquanto prudente - e la cittadinanza non è quindi un qualcosa di obbligatorio per loro. Per i figli, invece, è un diritto, perché altrimenti nel loro percorso scolastico, di stabilità e realizzazione personale possono sentirsi come “cittadini di serie B” mentre loro sono indiscutibilmente cittadini italiani. (vv)








All the contents on this site are copyrighted ©.