Immigrazione. Il ministro Riccardi: va allungato ad un anno il periodo di ricerca
lavoro
La crisi economica rischia di vanificare l’integrazione di migliaia di stranieri e
di favorire l’irregolarità. Circa 600 mila permessi di soggiorno scaduti infatti non
sono stati rinnovati, spesso per la perdita di posti di lavoro. Ecco perché il ministro
per l’Integrazione, Andrea Riccardi, ha proposto di prolungare il periodo della ricerca
di lavoro dagli attuali sei mesi ad un anno. Da Riccardi apertura anche alla cittadinanza
per i figli minori di stranieri. Plaude la Cisl. La responsabile “immigrazione” Liliana
Ocmìn spiega che limitare a 6 mesi il periodo di ricerca del lavoro è penalizzante
per gli immigrati. Paolo Ondarza l’ha intervistata:
R. – Limitare
a sei mesi vuol dire penalizzarli, vuol dire anche sperperare potenzialità, competenze
e qualificazioni di questi lavoratori, che in qualche modo sono già inseriti nel mercato
del lavoro italiano.
D. – Sono scaduti 600 mila permessi di soggiorno,
non rinnovati a causa della mancanza di posti di lavoro. Circa 350 mila stranieri
potrebbero diventare irregolari. Con quali conseguenze?
R. – Le conseguenze
sono ovviamente quelle di essere sfruttati nel mercato del lavoro in nero. Questo
ci mette di fronte ad un’esposizione di spread sociale molto alto: il rischio dei
conflitti sociali, di esclusione ed anche di emarginazione, per persone che hanno
già vissuto un processo di integrazione, è certamente alto. Credo che se riuscissimo
ad essere lungimiranti – perché l’Italia deve risolvere questa problematica ed uscire
da quest’impasse – potremmo capire quanto ci sia necessaria questa forza-lavoro.
D.
– Il ministro Riccardi ha aperto anche alla cittadinanza per i minori stranieri: “diventare
cittadini a 18 anni non basta”, ha detto, “perché a quell’età la personalità è già
strutturata. Pensarsi italiani aiuta ad integrarsi, va fatto prevalere non lo ‘ius
soli’ o lo ‘ius sanguinis’ ma lo ‘ius culturae’”...
R. – C’è un dato
di fatto: oggi contiamo più di 900 mila ragazzi cresciuti in Italia o giunti qui sin
dalla tenera età. Fare finta che questi ragazzi non siano italiani significa bloccare
un processo già avviato. Valorizzarli, invece, vuol dire dar loro il giusto riconoscimento,
senza che ciò diventi veicolo di cittadinanza per i genitori. I genitori continueranno
sui percorsi già stabiliti, che vengono avviati a 10 anni dal loro arrivo – che considero
una tempistica alquanto prudente - e la cittadinanza non è quindi un qualcosa di obbligatorio
per loro. Per i figli, invece, è un diritto, perché altrimenti nel loro percorso scolastico,
di stabilità e realizzazione personale possono sentirsi come “cittadini di serie B”
mentre loro sono indiscutibilmente cittadini italiani. (vv)