Nuove vittime in Siria, feriti anche gli osservatori arabi. Assad dichiara: non mi
dimetto
Le Nazioni Unite tornano a lanciare l’allarme sulla crisi siriana e sul tavolo del
Consiglio di Sicurezza arriva la denuncia di almeno 400 morti provocati dalla repressione,
nonostante la presenza degli osservatori della Lega araba. Intanto, il presidente
Bashar al Assad ribadisce di non volersi dimettere e punta il dito contro l’organizzazione
panaraba i cui inviati sono stati malmenati e feriti durante i disordini nel paese.
Marina Calculli
ll presidente
siriano Assad ha dunque, attaccato aspramente la Lega Araba, accusata di ipocrisia
e di incapacità di operato sul fronte della diffusione della democrazia. Quanto questa
spaccatura potrà influire sugli equilibri tra Damasco ed il mondo arabo? Salvatore
Sabatino lo ha chiesto ad Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici dell’Università
della Calabria: R. – La spaccatura
è già avvenuta: direi, ancor più in generale, che è il mondo arabo stesso che denuncia
in modo così esplicito ormai una impotenza molto forte, da tutti i punti di vista.
Il panarabismo, che era stato vagheggiato nel secolo scorso, è tramontato con la fine
dei nazionalismi socialistezzanti alla Nasser; ma oggi tramonta anche quel po’ di
arabismo che poteva rimanere. La regione è ormai totalmente in preda a influenze di
carattere esterno: sono la Turchia e l’Iran, casomai i Paesi non arabi, che vantano
in un certo senso un primato nella regione e che vogliono mantenerlo per motivi diversi
e naturalmente con intenzioni opposte, togliendo praticamente agli arabi la possibilità
di rappresentare un’alternativa credibile.
D. – Assad appare sempre
più isolato anche sul fronte interno: l’allargamento del governo a nuove forze politiche,
così come annunciato dallo stesso presidente questa mattina, può aiutarlo a mantenere
ancora il potere?
R. – Credo che quelli che sta facendo il presidente
siriano siano tentativi un po’ disperati, per cercare di recuperare un po’ di autorevolezza
e credibilità. Non mi sembra di poter dire che possano avere un qualche effetto decisivo
da questo punto di vista. La credibilità di Assad è tenuta in piedi da una schiera
di sostenitori, da alcuni posizionamenti internazionali che influiscono su alcuni
elementi della popolazione siriana, che è molto composita anche dal punto di vista
etnico e religioso e che talvolta si schiera pro o contro il governo per motivi che
non hanno nulla a che vedere con le politiche intrinseche dell’esecutivo stesso. La
situazione, a me, sembra sia ormai irrecuperabile per il governo e che si tratti soltanto
di rimandare una caduta che prima o poi dovrà necessariamente avvenire: ma non sappiamo
in che modo e soprattutto se questo modo sarà indolore.
D. – La repressione
che in questi dieci mesi ha provocato migliaia di morti non verrà certo dimenticata
dalla popolazione siriana: le aperture annunciate verso una democratizzazione del
Paese saranno possibili in un clima del genere? R. – Nell’82 ci fu già un
massacro in Siria e al quale, qui in Occidente, si è dato – tutto sommato - poco spazio.
La città di Hama, che si era ribellata al governo all’epoca, fu di fatto rasa al suolo:
le stime più pessimistiche parlarono di 38 mila morti in quel caso e in pochissimo
tempo. Diciamo che in un certo senso il popolo siriano ha già "digerito" questo tipo
di ferite: Assad nel suo discorso ha parlato di una cicatrice sul cuore quello che
sta succedendo nel suo Paese, ma credo che agli occhi del popolo questa cicatrice
non sia particolarmente significativa, perché suo padre aveva condotto questa brutale
repressione e tutto questo è rimasto ben vivo nella coscienza dei siriani, che quindi
accumulano – se vogliamo – un senso di frustrazione su una frustrazione che era avvenuta
poi non moltissimi anni fa. (mg)