Il cardinale Ravasi su Twitter: i miei messaggi sono per tutti. Omelie e catechesi
nel linguaggio della rete
Novità in rete: il cardinale Gianfranco Ravasi è su Twitter, il social network
più noto al mondo insieme a Facebook. L’iniziativa del noto teologo, di postare on
line brevi messaggi per sollecitare la riflessione, ha sollevato curiosità ed interrogativi.
Roberta Gisotti ha intervistato il porporato, presidente del Pontificio Consiglio
della Cultura:
D. – Eminenza,
che cosa l’ha spinta ad entrare in questo ambito di comunicazione - possiamo dire
- sincopata?
R. – Sono sostanzialmente due le ragioni. La prima è culturale,
perché riguarda un fenomeno – come questo del linguaggio – che ormai costituisce una
sorta di rete che si estende su tutto il nostro globo. E’ una rete che ha in sé non
soltanto dei valori di comunicazione immediata, ma ha anche una nuova concezione dell’incontro
tra le persone, anzi, per certi aspetti, anche una nuova visione della persona. Si
tratta, quindi, di un fenomeno culturale globale. La seconda ragione è che nell’interno
dell’orizzonte in cui siamo immersi, che è quello della nuova comunicazione e dei
nuovi media, è fondamentale la dimensione religiosa, la dimensione della spiritualità,
la dimensione anche di tutto ciò che, in qualche modo, è trascendente rispetto al
quotidiano. Ci sono in rete tante domande - alcune volte anche sguaiate, dobbiamo
dire - che riguardano proprio il fenomeno religioso. Ci sono queste due parole fondamentali:
da una parte, quindi, la cultura e, dall’altra parte, la religione, che entrambe si
confrontano con questa nuova atmosfera.
D. – Qualcuno ha definito omelie
i suoi twitt, ma forse questo termine è improprio...
R. – Il termine,
per me, è chiaramente improprio, perché i miei twitt sono fondamentalmente legati
ad una citazione presa dalla Bibbia, presa dalla cultura contemporanea, che offre
una sorta di riflessione essenziale, che può essere anche – tra virgolette – laica:
adatta a tutti e non soltanto ai credenti. La “Twitteromelia” è un termine che, in
pratica, viene coniato in correlazione ad una esperienza che hanno fatto alcuni presuli,
in particolare il vescovo francese di Soissons, mons. Hervé Giraud,
il quale ha introdotto queste brevissime omelie, quindi sono applicazioni di tipo
morale, di tipo spirituale, di tipo religioso, espresse in 140 caratteri. Dal punto
di vista formale sono molto significative, perché hanno una capacità di incidenza
diretta, immediata con un concetto solo, il quale risulta il più possibile folgorante,
il più possibile incisivo.
D. – Eminenza, non teme una lettura superficiale
dei suoi twitt?
R. – E’ fuor di dubbio che noi siamo sempre di fronte
a due estremi, che ininterrottamente – tra di loro – si confrontano. Da una parte
abbiamo una cultura che è mossa quasi da una frenesia nella comunicazione, che ha
bisogno di una essenzialità assoluta, che continuamente ricerca l’immediatezza, la
chiarezza, una chiarezza che riduce tutte le cose all’essenziale. Tanto è vero che
si usa parlare ormai della “morte della subordinata”, del ragionamento sillogistico,
che procede di grado in grado; l’argomentazione, la discussione viene ormai cancellata
da queste che sono soltanto delle coordinate, delle frasi cioè - che sono quasi da
epigrafe – essenziali. Abbiamo poi un altro estremo che è quello del discorso non
soltanto religioso, ma anche culturale che ha bisogno dell’approfondimento, quindi
ha bisogno dello scavo ed anche di una ricchezza di argomentazioni e documentazione.
Ebbene, io ritengo che sia assolutamente necessario che entrambi i fronti vengano
considerati: il fatto che io do un messaggio essenziale non esclude, per esempio,
che io scriva poi su “L’Osservatore Romano” oppure su l’“Avvenire” oppure sul supplemento
culturale de “Il Sole 24 Ore” degli articoli molto complessi, sistematici attorno
ad un determinato tema o recensioni che affrontano saggi che sono tutti pieni di subordinate
e quindi di ragionamenti e non soltanto di affermazioni. Dobbiamo sempre ricordare
che, soprattutto per quanto riguarda il campo religioso, non è sufficiente la comunicazione
essenziale, folgorante… E non è, però, neppure tutto da ridurre all’omelia tradizionale,
alla comunicazione catechetica molto articolata o alla riflessione teologica. Entrambi
i percorsi sono necessari.
D. – Nel caso di Twitter non c’è il rischio
di lasciare disattesi gli interrogativi o di far cadere le riflessioni contenute nei
commenti ai suoi twitt?
R. – In questo caso ci sono più elementi a cui
bisogna badare. Da una parte bisogna inesorabilmente anche – prima o poi – entrare
in una sorta di dialogo. E’ vero che nelle relazioni – io credo oggi di avere attorno
ai 7.500 followers che seguono il mio twitter - molti chiedono esplicitamente che
io abbia a rispondere ad alcune loro provocazioni, che alcune volte sono anche molto
polemiche. Finora io non ho ancora fatto questo percorso, perché richiederebbe anche
un investimento di tempo e di energie del tutto particolare. C’è, però, un altro aspetto
che io considero e che è la mia presenza nei blog: ho un blog collegato a “Famiglia
Cristiana”, uno collegato a “Il Sole 24 Ore”, sui quali pongo – in maniera abbastanza
sistematica – dei veri e propri articoli o comunque degli interventi che rispondono
a provocazioni oppure a domande che ho ricevuto. Direi quindi: distinguiamo almeno
questi due generi. Da ultimo riterrei che non bisogna far morire tutti gli altri modi
di comunicazione, che io pure seguo e che devono essere seguiti da coloro che vogliono
annunciare in una maniera più compiuta. Io continuo, per esempio, a tenere un programma
televisivo, dove l’argomentazione è molto più ampia, perché ho a disposizione 19 minuti
e dove la presentazione dei temi può fiorire, può sbocciare secondo dimensioni diverse.
Penso che bisogna muoversi con una articolazione molto varia, con delle iridescenze
e con dei colori che sono diversi, proprio perché ora noi viviamo in una atmosfera
che ha questa molteplicità e che non è più affidata soltanto a un tono monocorde,
che era quello – per esempio una volta – della carta stampata oppure solo della televisione.
Internet ha introdotto una variabilità dalla quale non possiamo prescindere, perché
– come dicono gli studiosi del linguaggio – ormai questa è una vera e propria atmosfera
ed anche chi vuole sottrarsi ne è alla fine avvolto, coinvolto e qualche volta travolto.
D. – Quindi un primo bilancio positivo di questa sua iniziativa?
R.
– Sì, credo che possa essere giudicato positivo. Naturalmente quando si fanno gli
esperimenti per la prima volta, questi hanno sempre dentro delle fragilità, dei limiti…
Quindi c’è un periodo di rodaggio che io sto facendo. Devo dire che il fatto che ogni
giorno crescano non soltanto coloro che seguono questi messaggi essenziali che io
do, ma anche che ci sia il desiderio di avere una risposta, di fare delle domande
ed il fatto che ci siano anche coloro che retwittano, che trasmettano cioè a loro
volta ad altri - nel loro sito o twitter - il messaggio che ho dato, è un elemento
positivo, tenendo conto che lo stesso San Paolo diceva: “E’ opportuno intervenire
in tutti i contesti e scegliere tutto ciò che c’è di buono nelle realtà”. Ci sono
anche molti elementi negativi in questa comunicazione, ne vedo anch’io nelle reazioni
che creano queste dichiarazioni molto essenziali che io faccio… Però c’è anche questo
profondo desiderio di interrogazione sul senso ultimo della realtà: andare un po’
al di là delle cose penultime e cioè le cose concrete e materiali che di solito in
rete si trasmettono e si cercano; qualche volta queste cose penultime sono pesanti,
perché sono magari negative in maniera esplicita: pensiamo alla pornografia e a tutte
le forme di violenza che ci sono in rete. Dall’altra parte, però, si vede invece come
fioriscano le realtà ultime, come fioriscano le domande fondamentali: quindi vita,
morte, oltrevita, bene, male, giustizia, verità, amore, dolore, male in senso generale.
(mg)