Lo Yemen alle prese con un difficile processo di cambiamento. Il governo ad interim
di Sanaa ha approvato una proposta di legge per l’amnistia nei confronti del deposto
presidente, Ali Abdullah Saleh, e di tutto il suo esecutivo. L’opposizione aveva chiesto
che Saleh fosse processato per aver ordinato l'uccisione di centinaia di manifestanti
durante le dimostrazioni antiregime. La normativa dovrà essere adottata in via definitiva
dal parlamento. Si tratta di un passo risolutivo della crisi o rischia di innescare
altre tensioni? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Camille Eid, esperto
di Paesi arabi del quotidiano Avvenire:
R. – Bisogna
ricordare che questa amnistia era già prevista nell’accordo che ha messo fine agli
scontri interni allo Yemen, però incontra ancora delle resistenze all’interno dell’opposizione,
che partecipa al governo di intesa nazionale. La domanda che si pone – a livello arabo
più che solo yemenita – è se questo accordo non costituisca un pericoloso precedente
che potrà incoraggiare altri dittatori a reprimere con la violenza i loro oppositori
interni e poi sperare di ottenere una specie di impunità in cambio della loro uscita
di scena. Io sinceramente non mi auguro, soprattutto pensando alla Siria, che un giorno
Assad, con il gruppo al potere a Damasco, possa godere di una specie di immunità contro
i crimini che sta commettendo.
D. – Che cosa fare, comunque, affinché
i Paesi che stanno vivendo questi rivolgimenti non nascano nel desiderio di vendetta
per le tante vittime che ci sono state?
R. – Questo è inevitabile. Ci
sono dissidi su questo punto e su altri, che andranno avanti, che riguarderanno anche
le vittime, che sono centinaia, se non migliaia, cadute in decine di scontri. Bisogna
vedere fino a che punto si estende questa impunità. Tutte le famiglie che hanno subito
delle morti chiederanno conto di questo a qualcuno: se non possono chiederlo a Saleh,
dovrebbero poterlo pur chiedere a qualcun altro. (ap)