Siria, la testimonianza di padre dall’Oglio: restare tra mille difficoltà o partire
per fuggire alle violenze
In Siria non si arresta la repressione antiregime, che secondo stime Onu ha già fatto
cinquemila vittime. Sul fronte diplomatico la Lega araba chiede a governo ed opposizione
di porre fine alla violenze, mentre la missione di osservatori dell’organizzazione
panaraba verrà prorogata e rafforzata, senza ricorrere all’aiuto dell’Onu. Tra tanta
sofferenza prosegue la vita dei civili in Siria, e tra questi sono i cristiani, sotto
forte pressione in tutta l’area dei Paesi arabi, scossi da tumulti sociali. Testimonianza
particolare offre padre Paolo dall’Oglio, fondatore in Siria della comunità
monastica di Deir Mar Musa al-Habachi, vicino Nabak, promotore di dialogo tra cristiani
e musulmani, da mesi impegnato negli sforzi di riconciliazione interna. Ascoltiamolo
al microfono della nostra collega tedesca, Anne Kathrin Preckel:
R. - La
vita di fede è intensa, si prega molto in Siria in questo momento. Direi non solo
in Siria. Abbiamo visto anche cristiani iracheni, quanta fede hanno saputo esprimere
nella terribile crisi che li ha colpiti per tanti anni e i cristiani egiziani, che
sono in un momento di grande importanza. Anche i cristiani giordani accompagnano il
movimento di rinnovamento della società con forte entusiasmo evangelico. Accanto a
questi sentimenti, molti cristiani soffrono la grande paura del futuro: hanno paura
che l’emergenza dei movimenti islamici riporti indietro le lancette della storia,
riportando tutti a una condizione di sottomissione, di minoranza, di minorità morale,
civile e che diventi impossibile vivere come cristiani cittadini in questi Paesi.
Questa paura però rende sterile l’impegno cristiano in questi Paesi. Superare la paura
è certamente l’invito che cerchiamo di rivolgere ai cristiani del Medio Oriente, ai
cristiani dei Paesi in evoluzione, perché possano partecipare con coraggio e semplicità.
Noi abbiamo la vocazione di essere lievito nella pasta, non possiamo rimanere accanto
alla pasta. Ci saranno certamente delle difficoltà da superare. Credo che coloro che
Gesù invia come colombe, come agnelli e come saggi possano operare con la regola dell’umiltà.
Penso a Francesco e ai suoi frati. Non per essere sottomessi, inattivi e ignoranti.
I cristiani del Medio Oriente accettano di vedere i loro concittadini musulmani liberi,
responsabili e carichi del peso della responsabilità democratica e questo ha un prezzo
rispetto ad una libertà di movimento che i cristiani avevano prima, ma è per questa
strada che i cristiani possono portare il loro lievito in questa pasta.
D.
- Lei ha citato varie volte l’Iraq, lì dove l’esodo è molto forte. In Siria come è
la situazione? Lei ha comprensione per i cristiani che lasciano il Paese in questo
momento?
R. - Certamente, ho molta comprensione, perché quando manca
la sicurezza si ha paura per i propri figli. Quando un padre di famiglia deve andare
a lavorare e ha paura di non poter tornare - soprattutto se c’è una parte della famiglia
che è già all’estero che chiede di raggiungerli - ciò crea le condizioni per un aumento
molto forte dell’emigrazione ,che è un disastro per la Chiesa ma si può benissimo
capire sul piano umano. Di fatto, la gente oggi nel mondo si muove facilmente. Quando
le cose andranno meglio i nostri torneranno. E se non torneranno loro, torneranno
degli altri. In questo bisogna essere un po’ umili. Le ragioni di una famiglia per
muoversi non sono facilmente le ragioni generali di una Chiesa per incoraggiarli a
restare. Incoraggiamo a restare: alcuni molto coraggiosi, restano per motivi spirituali,
altri sentono il dovere di proteggere i loro figli.
D. - Sa quante persone
hanno lasciato il Paese? No, non sono in grado di dare statistiche. Devo
dire che l’immensa difficoltà di ricevere i visti in Occidente rende molto difficile
la possibilità di poter emigrare. In generale, molti sono quelli che desiderano andare
via, pochi sono quelli che lo possono fare. Non penso, allora, che si possa parlare
di grandi numeri. Nella parte più colta della popolazione, più benestante sul piano
economico, più connessa sul piano internazionale, certamente ci sono molti vuoti.
D.
- Parliamo più concretamente della vita del Monastero. Come possiamo immaginare un
giorno lì?
R. - Al mattino, abbiamo una preghiera con i salmi, la Bibbia,
i Padri della Chiesa e gli inni. Tutto in arabo perché noi preghiamo in arabo. Siamo
di rito siriaco, dipendiamo dall’eparchia, la diocesi siriaca di Homs, e quindi abbiamo
famiglie dei monaci che sono di Homs, della città che sta soffrendo di più in questo
momento. Siamo della tradizione antiochena, una Chiesa orientale di obbedienza cattolica.
Dopo la preghiera del mattino, segue una conferenza catechetica alla quale partecipano
anche gli ospiti (in arabo) e si cerca di tradurre se ci sono degli ospiti stranieri.
In questo momento, c’è un giovane tedesco che starà qui con noi per sei mesi e che
per motivi culturali e spirituali viene a stare con noi. La conferenza è seguita con
molta pazienza e benevolenza da chi mi ascolta e poi c’è una giornata di lavoro dopo
la prima colazione. Noi produciamo formaggio, abbiamo delle capre, che poi cerchiamo
di vendere anche se non è facile oggi. Lo facciamo nei negozi di Damasco: prima si
poteva vendere ai turisti, oggi i turisti non ci sono più. Quindi si lavora nella
terra, nel restauro e nella pulizia del monastero e dei locali e nell’attività economica.
Nel pomeriggio, c’è più tempo per la riflessione, la preghiera e la lettura. Abbiamo
una magnifica Biblioteca del dialogo interreligioso, di teologia, di studio delle
religioni e molti giovani ne approfittano. Sono sempre molto consolato quando vedo
i giovani studiare in Biblioteca. La sera, alle 19, abbiamo un’ora di silenzio vissuta
con Maria, "che meditava queste cose nel cuore in silenzio". Dopo quest’ora mariana
di silenzio e di adorazione del Mistero di Dio incarnato, fa seguito l’Eucaristia
serale. Poi la cena, due chiacchiere e tutti a dormire.(dd)