A Roma altre 72 pietre di inciampo per ricordare le vittime della furia nazista
Ricordare con alcune pietre speciali, ideate dall’artista tedesco Gunter Deming, le
vittime del nazifascismo. E’ l’obiettivo del progetto “Memorie di inciampo a Roma”,
promosso dall’Associazione nazionale ex deportati e realizzato con modalità analoghe
anche in altre città europee. La terza edizione di questa iniziativa è stata inaugurata
oggi con l’installazione a Roma, in via Urbana 2, di un sampietrino in memoria di
don Pietro Pappagallo, sacerdote ucciso alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
(Prime note
della colonna sonora del film "Schindler List")
Le nuove pietre ampliano
il mosaico della memoria aggiungendo un nuovo tassello, che spinge a ricordare quanto
accaduto in quel luogo e in quella data, intrecciando passato e presente. E’ quanto
sottolinea Adachiara Zevi, curatrice del progetto in Italia:
“In questa terza edizione saranno aggiunte 72 nuove pietre, quindi
si raggiungerà un totale di 150 pietre. Ormai non c’è nessuno che abiti in un quartiere
di Roma che non abbia almeno una pietra di inciampo e quindi che non abbia preso coscienza
di quanto è accaduto. Il numero delle pietre in Europa, in 10 Paesi europei, ha raggiunto
quota 33 mila. E’ un progetto che forse – purtroppo – non si esaurirà mai perché è
impensabile puntare a collocare 10 milioni di pietre. Quelle pietre sono un po’ contro
tutti quelli che fanno revisionismo, tutti quelli che fanno negazionismo. Queste pietre
servono a 'riportare a casa' persone ridotte ad un semplice numero, a cui è stata
tolta ogni dignità di persona”.
La prima pietra di questa terza edizione
romana è stata posta, questa mattina, per ricordare don Pietro Pappagallo, sacerdote
ucciso nel 1944, che durante l’occupazione nazista di Roma dette asilo ai perseguitati
“di ogni fede e condizione”. La pietra è stata commissionata da don Francesco
Pesce, parroco della Chiesa Santa Maria ai Monti, che ricorda con queste
parole il sacerdote vittima della furia nazista:
“Era un uomo che ha
vissuto il Vangelo fino in fondo, fino all’effusione del sangue. Per me è stato un
grande onore partecipare a questa iniziativa ma anche un dovere di meditazione, per
riflettere su ciò che è accaduto, certamente il male assoluto. Ma il bene esiste e
sono queste persone che fanno la storia. Nella nostra parrocchia, sopra il campanile,
ci sono ancora alcune stanze visibili dove il parroco nascondeva questi rifugiati,
in particolare bambini. Ci sono scritte sui muri che sono ad altezza bambino e, quindi,
custodire questa memoria è proprio un dovere per tutta la comunità parrocchiale. E’
un nostro dovere continuare nelle persecuzioni moderne: dare un esempio di come il
Vangelo vince il mondo, di come è possibile far trionfare ancora il bene”.