L'Aquila 33 mesi dopo il sisma. Don Tracanna: giovani e anziani senza punti di ritrovo
E’ stato il quinto terremoto più distruttivo in Italia in epoca contemporanea dopo
Messina, Avezzano, l’Irpinia e il Friuli. A quasi tre anni di distanza dal sisma che
ha colpito in particolare l’aquilano, sembra ancora lontano il ritorno alla cosiddetta
normalità. Il punto della situazione nel servizio di Davide Dionisi:
Sono trascorsi
due anni e nove mesi da quel terribile 6 aprile, quando alle ore 3.32 una scossa di
terremoto di magnitudo pari a 5,9 della scala Richter ha devastato L’Aquila e dintorni.
Tragico il bilancio: oltre 300 vittime, 1600 feriti ed oltre 10 miliardi di euro di
danni stimati. La ricostruzione post terremoto non può farci dimenticare né lo spessore
della tragedia in sé, né tantomeno le iniziative che vengono adottate per cercare
di accelerare i tempi del ritorno alla cosiddetta normalità. E in questo la Chiesa
locale è in prima linea. Cosa è cambiato da allora? Lo abbiamo chiesto a don
Claudio Tracanna, responsabile dell’Ufficio Comunicazioni sociali dell’Arcidiocesi
de L’Aquila:
R. – La situazione non è troppo diversa da quella di due
anni e mezzo fa, anche se qualche segno di speranza si vede. Abbiamo ancora più di
21 mila cittadini assistiti dallo Stato tramite il commissario per la ricostruzione,
anche se, prima di Natale, sono stati finalmente assegnati tutti gli alloggi provvisori
costruiti subito dopo il terremoto. Negli alberghi, al momento, abbiamo soltanto 500
persone. In più, sono state riconsegnate – sempre per Natale – 116 chiese alle varie
comunità parrocchiali. La situazione, quindi, è ancora critica, però inizia a vedersi
qualche segno di speranza.
D. - Che servizio pastorale è quello che
la Chiesa aquilana svolge in questo tessuto sociale così provato e in una zona così
disastrata?
R. – Penso che il servizio della diocesi sia stato e sia
tutt’ora molto importante, perché non si è mai interrotto. Non si è interrotto nemmeno
la notte delle scosse del 6 aprile, neanche il giorno successivo, ed è continuato
fino ad oggi: i parroci sono stati vicini alle persone fin da subito, anche perché
loro stessi erano degli sfollati e perciò hanno condiviso tutto con la gente, dalle
tendopoli ai nuovi alloggi, compresa quella ricostruzione che ancora oggi stenta a
partire. Oggi è importante avere dei luoghi. Sono proprio questi a mancare, nella
nostra città: luoghi in cui incontrarsi per pregare e per socializzare. C’è una grave
carenza di posti soprattutto per i giovani e gli anziani, che non sanno dove andare.
I giovani li ritroviamo nell’unico, grande centro commerciale presente nella nostra
città, mentre gli anziani sono rinchiusi in questi nuovi villaggi, perché spesso,
oltre alla mancanza di luoghi, sono carenti anche i servizi nei nuovi villaggi. Speriamo
che si possa ovviare a tutto ciò, anche con l’aiuto della Caritas nazionale: creare
luoghi, in questi nuovi villaggi, per svolgere il nostro ministero.
D.
- Come guarda l’aquilano al futuro?
R. – L’aquilano guarda al futuro
certamente con speranza, anche se a volte, a causa di tutto quello che si vive qui,
c’è molta tensione tra gli amministratori e i politici. A volte la tensione c’è anche
tra la gente per tutto quello che è legato alla ricostruzione e spesso tutto questo
viene accompagnato anche dalla rassegnazione. (vv)