Due anni fa la rivolta degli immigrati a Rosarno. Don Varrà: da allora non è cambiato
granché
Nel gennaio 2010, la località calabrese di Rosarno fu teatro di duri scontri tra la
popolazione residente e gli operai stagionali immigrati, costretti a lavorare in nero
e a vivere in condizioni disumane. A due anni dalla rivolta, nella quale furono ferite
53 persone, qual è oggi la situazione nel paese della Calabria? Michele Raviart
lo ha chiesto a don Pino Varrà, parroco di San Giovanni Battista a Rosarno:
R. – Purtroppo,
da parte delle autorità e degli enti non è cambiato molto. A parte il villaggio di
container nella zona industriale, non c’è altra assistenza concreta. So che l’amministrazione
comunale sta insistendo molto, presso la Regione, per avere altri moduli abitativi,
però il problema riguarda quelle persone che non hanno il permesso di soggiorno e
che si sistemano dove e come possono. In genere, le persone che vengono qui lo fanno
per questo periodo, e dopo si recano in altre zone: vanno Napoli a raccogliere i
pomodori, si spostano verso Foggia o anche nel nord quando ci sono da raccogliere
le mele. Si tratta quindi di “presenze stagionali”.
D. – In quali condizioni
vivono, ancora adesso, gli immigrati?
R. – Solo quelli che si trovano
nei container vivono relativamente bene. Ci sono poi quelli che sono già in affitto
in delle vere e proprie case oppure fanno riferimento a un centro di raccolta, dove
è sistemato un certo numero di extracomunitari. C’è ancora gente che arriva qui, a
Rosarno, senza sapere dove andare, senza avere un punto di riferimento, e queste sono
situazioni sempre molto precarie. L’amministrazione comunale sta davvero lavorando
molto, presso la Regione, per avere altri alloggi, perché quelli tutt’ora disponibili
sono insufficienti.
D. – Quali sono le attuali prospettive di lavoro
a Rosarno?
R. – Quest’anno c’è meno lavoro, e quindi la crisi che c’è
non è solo quella più generale, che colpisce tutti, ma riguarda anche la produzione
degli agrumi della nostra zona. Credo che, se da parte delle autorità e dello Stato
in genere si prendano dei provvedimenti riguardanti anche i permessi di soggiorno,
diventerà sempre più difficile. Queste persone non possono, ad esempio, avere questi
moduli abitativi, non possono usufruire di tanti servizi e, se continuerà questa crisi
agrumaria, non saremo neanche più pronti per affrontare una nuova emergenza.
D.
– La parrocchia come si sta attivando per aiutare queste persone?
R.
– Abbiamo iniziato già da 20 anni, per quel poco che purtroppo possiamo fare. Abbiamo
in attivo la mensa quattro volte la settimana in tutte e due le parrocchie, la distribuzione
dei vestiti. Inizialmente, abbiamo anche distribuito i medicinali, abbiamo fornito
l’assistenza sanitaria con dei medici. Questo, però lo abbiamo potuto fare solo entro
certi limiti, perché le strutture – come anche le stesse parrocchie – qui non sono
in grado di fornire totale assistenza. (vv)