Siria, Sarkozy: gli osservatori siano liberi di fare il proprio lavoro
Non si fermano gli attacchi in Siria. Stamani, secondo l’agenzia ufficiale Sana, alcuni
terroristi hanno fatto saltare in aria un gasdotto nella regione di Homs, epicentro
delle proteste contro il regime di Assad. Non si spengono, intanto, le polemiche sulla
missione degli osservatori della Lega Araba. Sono di oggi le dichiarazioni del presidente
francese, Nicolas Sarkozy, che ha esortato Assad a lasciare il potere. Il capo dell’Eliseo
ha anche chiesto che gli osservatori siano liberi di svolgere il proprio lavoro. Sulla
missione nel Paese, Benedetta Capelli ha intervistato Silvia Colombo,
ricercatrice dell’Istituto di Affari internazionali:
R. - Si tratta
di un tema molto delicato viste le difficoltà che hanno comunque portato all’accettazione
da parte del regime di Bashar Al Assad, di questa missione di osservatori nel Paese.
C’è forse bisogno di tempo, affinchè questa missione compia quel poco di lavoro che
può fare sul campo. Tutti questi mesi di violenze, di repressione e di successivi
tentativi di mediazione sono falliti e soltanto adesso sembra essersi aperto questo
spiraglio. Al di là delle critiche e delle problematicità della missione stessa, di
come è stata costruita, di quali sono i suoi obiettivi concreti e qual è la leadership
affidata al generale sudanese - tutti elementi importanti da analizzare - forse è
opportuno concentrarsi soprattutto su quello che sta avvenendo sul campo.
D.
- Secondo lei, quanto sta pesando la posizione della Russia, che non spinge perchè
ci siano nuove sanzioni nei confronti del regime di Damasco?
R. - Secondo
me, il contesto internazionale è sicuramente colpevole, e in larga parte determinante,
per il protrarsi del conflitto e delle sanguinose violenze in Siria. Se guardiamo
alla situazione attuale sul campo, vediamo da una parte l’aumento delle violenze -
nonostante la presenza di questa missione - e dall’altra c'è un presidente, un regime
che ha comunque aperto alla missione della Lega Araba, pur mantenendo fermamente il
potere nel proprio Paese e nonostante le voci di vulnerabilità. In questi mesi, le
decisioni prese all’interno dei vari consessi internazionali sono in parte responsabili
di questo protrarsi delle ostilità, nel senso che sicuramente, se ci fosse stata una
presa di posizione e la possibilità di imporre sanzioni molto più dure rispetto alle
semplici sanzioni economiche imposte dall’Unione europea, dagli Stati Uniti e successivamente
dalla Lega araba, forse si sarebbe potuto evitare di arrivare a questa situazione
e soprattutto al fatto che ancora non si vede uno spiraglio.
D. - Secondo
lei, basterà semplicemente rimuovere Bashar Al Assad per dare un nuovo corso alla
Siria?
R. - Come si è visto nella "primavera araba", sicuramente la
rimozione dei dittatori, delle figure autoritarie in Tunisia, in Egitto, in Libia
sono stati momenti determinanti per avviare un processo di transizione. Nel caso della
Siria la situazione sarà sicuramente molto più complessa, visto che siamo ormai oltre
nove, dieci mesi di conflitto, di scontro in un Paese dagli equilibri e dalle dinamiche
interne molto delicati per il contesto geopolitico in cui si trova, e anche per la
composizione etnica e religiosa della popolazione siriana. Non si può comunque escludere
il fatto che il Paese, viste appunto queste difficoltà e il protrarsi del conflitto,
piombi in una fase ancora più buia di conflitto.
D. - In questo contesto,
quanto pesa il vicino Iran?
R. - Sicuramente il rapporto tra Siria e
Iran è molto, molto complesso: oggi l’Iran con le sue provocazioni sta lanciando un
messaggio: non vuole essere tagliato fuori dallo scacchiere regionale. Nel momento
in cui il suo più forte alleato nella regione, che è proprio la Siria di Bashar Al
Assad, si trova in un momento di crescente difficoltà e anche nel momento in cui in
tutta la regione del mondo arabo si stanno affermando movimenti islamisti che si rifanno
alla corrente sunnita mentre l’Iran è un Paese sciita. Probabilmente vedremo Teheran
sempre di più protagonista nel momento in cui dovesse esserci fisicamente una caduta
del regime di Bashar al Assad. (bi)