Myanmar: incontro tra Aung San Suu Kyi e la responsabile internazionale della Cisl
Nei giorni scorsi, una delegazione della Cisl ha incontrato in Myanmar, Aung San Suu
Kyi. La leader democratica birmana ha sottolineato la necessità di garantire la libertà
di associazione e il rispetto dei diritti individuali e sociali. La delegazione era
guidata dalla responsabile internazionale del sindacato italiano, Cecilia Brighi,
che al microfono di Amedeo Lomonaco ricorda i temi chiave dell’incontro:
R. – Questo
è stato il primo incontro tra Aung San Suu Kyi ed una rappresentante sindacale a livello
internazionale. Sono stata la prima sindacalista che ha potuto incontrare Aung San
Suu Kyi. Abbiamo discusso di alcune tematiche fondamentali per noi: l’attuazione immediata
della legge sulla libertà di organizzazione sindacale, che è stata approvata a settembre
ma ancora non è stata implementata dal governo birmano.
D. – La leader
birmana ha indicato proprio nel diritto del lavoro lo strumento principe per promuovere
il cambiamento in un Paese teatro di gravi violazioni, tra cui la piaga dei bambini
soldato ed il fenomeno del lavoro minorile …
R. – Aung San Suu Kyi ha
sottolineato l’importanza di una presenza forte del sindacato in Birmania per poter
migliorare le drammatiche condizioni di lavoro presenti nel Paese: i lavoratori e
le lavoratrici lavorano 10 ore al giorno per sette giorni alla settimana, guadagnando
al massimo 30-40 Euro al mese. Quindi sono condizioni di lavoro che rasentano la schiavitù
lì dove non c’è il lavoro forzato.
D. – Allo stato attuale, quindi,
manca ancora un sindacato birmano per migliorare proprio queste durissime condizioni
di lavoro...
R. – Il sindacato birmano esiste già, ma è clandestino.
Una delle richieste che io ho riproposto ad Aung San Suu Kyi è il sostegno affinché
il sindacato birmano, oggi considerato un’organizzazione terroristica, possa lavorare
liberamente in Birmania e che tutte le accuse di terrorismo possano essere rapidamente
cancellate. Il segretario generale del sindacato birmano ed altri sindacalisti sono
in esilio. Bisogna fare in modo che possano tornare e lavorare liberamente nel Paese.
D.
– Un altro punto centrale è il taglio richiesto alla spesa militare per investire
in sanità, istruzione e lavori pubblici …
R. – Ancora oggi il nuovo
bilancio nazionale della Birmania prevede ingenti risorse per la spesa per la difesa.
Noi, anche all’interno dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), abbiamo
sempre chiesto un ribaltamento della spesa nazionale perché vengano attribuite forti
risorse per i lavori pubblici: questo non solo incrementerebbe l’occupazione, ma permetterebbe
alle autorità locali e all’esercito di pagare i lavoratori, invece di utilizzare il
lavoro forzato.
D. – Questo del lavoro forzato è un fenomeno dilagante
nelle aree di conflitto dove, tra l’altro, nessuna organizzazione è in grado di monitorare
la situazione …
R. – Aung San Suu Kyi ha sottolineato che ancora oggi
alla Lega nazionale per la democrazia viene inibito l’accesso a queste zone; va anche
detto che le altre organizzazioni e agenzie delle Nazioni Unite, come l’Acnur – l’agenzia
per i rifugiati – ed altre si rifiutano, ad oggi, di ricevere le denunce di lavoro
forzato, per timore che le loro attività possano essere limitate. Va anche detto che
il governo birmano sta rivedendo la legislazione sui diritti dei minori insieme all’Unicef,
e noi siamo estremamente preoccupati perché tale legislazione prevede anche la questione
del lavoro minorile che è molto pesante. Noi chiediamo che venga vietato il lavoro
minorile così come previsto dalle norme internazionali dell’Ilo. Io ho verificato
in varie zone che, visto il gravissimo livello di povertà diffusa, quasi tutti i bambini
dei villaggi lavorano nelle fabbriche o in agricoltura. E questa cosa va ribaltata
attraverso grandi investimenti per l’educazione e la sanità, spostando il lavoro dal
lavoro minorile al lavoro degli adulti, ben retribuito e nel pieno rispetto del diritto
internazionale. (gf)