Passa alla Danimarca la presidenza dell'Unione Europea
Avvicendamento alla guida semestrale dell’Unione Europea che dalla presidenza polacca
passa ora a quella Danese. Il primo semestre del 2012 si presenta come un periodo
ricco di sfide per la premier danese Helle Thorning-Schmidt, che si trova di fronte
un’Europa disunita politicamente e in preda ad una severa crisi economica. Tra gli
impegni che Copenaghen dovrà affrontare anche quello – sottolineato dal ministro degli
esteri danese Wammen - di fare da ponte tra i 17 della zona Euro ed i 27 membri dell’Unione,
con un occhio particolare alla Gran Bretagna. A Pier Virgilio Dastoli, presidente
del Consiglio italiano del Movimento europeo, Stefano Leszczynski ha chiesto
quale sarà l’impegno della Danimarca, Paese che non aderisce alla moneta unica.
R. – La Danimarca
non fa parte della zona dell’euro però la nuova premier danese conosce bene le questioni
europee. E’ stata tra i negoziatori della Costituzione europea e la Danimarca, fra
l’altro, il 9 dicembre ha sottoscritto anche lei l’accordo a 26 con l’esclusione del
Regno Unito per rendere più incisive le norme per quanto riguarda il governo dell’euro.
D.
– Il 2011 sembra aver segnato anche una sorta di scollamento tra l’opinione pubblica
europea e quelle che sono le istituzioni…
R. - Le opinioni pubbliche
nazionali si sono rese conto che l’Unione Europea non è stata in grado di dare risposte
alla crisi che ci ha colpito da tre anni a questa parte. La questione è che bisogna
chiarire che la responsabilità del fatto che l’Europa non ha dato risposte e soprattutto
dei governi nazionali che detengono la maggior parte del potere sulle questioni economiche.
Quindi la questione che si pone oggi è di capire se nel 2012 si metterà mano anche
ad una riforma dei meccanismi istituzionali per fare in modo che le decisioni non
siano prese soltanto dai 27 governi di cui ciascuno cerca di difendere il proprio
apparente interesse nazionale ma piuttosto da un sistema di governo a livello europeo.
D.
– Sempre più importanti sono apparse le sfide internazionali che l’Europa dovrebbe
affrontare in maniera unitaria, soprattutto in maniera rapida e concreta. Questo sembra
ancora un obiettivo lontano…
R. – Certo, resta il problema del fatto
che l’Europa oggi nel mondo non parla con una sola voce, questo anche a causa del
fatto che i governi quando hanno fatto il Trattato di Lisbona hanno deciso di mantenere
il principio secondo il quale la politica estera è questione di interesse nazionale.
Io credo che bisogna cominciare a riflettere sin d’ora, a riprendere il cammino dei
padri fondatori, cioè di andare nella direzione degli Stati Uniti d’Europa.
D.
– Nell’ultimo anno ha fatto molto discutere l’asse franco-tedesco. C’è spazio per
una politica degli assi in Europa o deve più che altro essere un concerto di politiche
tra pari?
R. - Evidentemente non c’è spazio perché, in quest’ultimo
anno, quest’asse ha mostrato di non essere efficace, anzi ha mostrato di non essere
capace di dare risposte adeguate al problema del governo dell’economia. Le risposte
che l’asse ha proposto sono state risposte sbagliate. In una dimensione europea noi
abbiamo bisogno invece di una capacità di governo nel suo insieme. Abbiamo bisogno
di istituzioni che rappresentino l’interesse comune.
D. – Come rispondere
a chi invece ritiene che l’Europa sia una realtà in pericolo?
R. – C’è
da dire che in questi anni c’è stata una crescente attenzione di quella che si chiama
la società civile organizzata. Io penso alle tante iniziative che sono state prese
in Italia, per esempio, anche da parte del mondo cattolico organizzato che ha sempre
difeso l’idea di un’Europa più solidale. Questo riguarda anche una dimensione europea
più ampia e la presenza di questi elementi attivi, secondo me, sarà una spinta perché
nel 2012 si va in una direzione diversa. Gli euroscettici, anche nei sondaggi di opinione,
appaiono minoritari, quindi questo in qualche modo ci può dare speranza anche per
il futuro. (bf)