Siria: 8 morti, prosegue la repressione nonostante gli osservatori della Lega Araba
Ennesimo venerdì di proteste antigovernative in varie città della Siria, dove si registra
un massiccio dispiegamento di forze di sicurezza. Nonostante la presenza degli osservatori
della Lega Araba, gli attivisti riferiscono di almeno otto vittime e di un numero
imprecisato di feriti tra i manifestanti. Il servizio è di Eugenio Bonanata:
I soldati
governativi hanno utilizzato bombe a mano, granate e gas lacrimogeni per disperdere
quella che gli attivisti definiscono la più importante manifestazione di protesta
in questi 10 mesi di mobilitazione. E’ in corso in alcuni sobborghi di Damasco, dove
si parla di 60-70 mila presenti in marcia verso la sede del comune. Adunate e sit-in
anche in molte altre località del Paese, come Homs, Daraà, Idlib, Hama, Aleppo. Tuttavia,
in primo piano c’è ancora la repressione malgrado la presenza sul terreno degli osservatori
della Lega Araba. Alcuni di loro a Latakia, porto nordoccidentale siriano, sono stati
accerchiati da decine di sostenitori del presidente Assad i quali affermavano di essere
gli unici dimostranti in città. A testimoniarlo non sono gli attivisti, ma le immagini
trasmesse stamattina da una televisione locale. Dal canto loro, i vertici dell’Esercito
libero siriano – che raggruppa i militari disertori – hanno dato ordine di sospendere
gli attacchi contro le forze lealiste e di dar vita ad una giornata di protesta pacifica.
A livello diplomatico solo la Russia ha espresso commenti positivi circa l’avvio della
missione della Lega Araba. Il ministero degli Esteri di Mosca ha affermato che dagli
osservatori arrivano notizie “rassicuranti”.
Iran-Usa Ancora
alta tensione tra Iran e Stati Uniti. Teheran ha rifiutato il monito di Washington
in seguito alla minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz come rappresaglia alle sanzioni
occidentali. Nell’area – vitale per il trasporto di petrolio – si muovono
due navi da guerra americane. Secondo media iraniani, domani l’esercito lancerà missili
a lungo raggio nell’ambito delle esercitazioni militari in corso nella zona del Golfo.
Turchia Torna
a montare la tensione tra i ribelli separatisti curdi del Pkk, il Partito dei Lavoratori
del Kurdistan, e il governo turco dopo la strage avvenuta nel Kurdistan iracheno e
in cui hanno perso la vita 35 civili. Il drammatico episodio è avvenuto a causa dell’errato
bombardamento con un aereo senza pilota turco di quella che era apparsa come una colonna
di guerriglieri. L’episodio ha suscitato aspre polemiche anche all’interno della stessa
maggioranza parlamentare che sostiene il premier turco, Erdogan. Ora, i timori si
concentrano su una possibile ritorsione da parte del Pkk che ha promesso vendetta.
Sulla situazione di conflitto al confine tra Turchia e Iraq, Stefano Leszczynski
ha intervistato Marco Ansaldo, inviato del quotidiano La Repubblica:
R. – E’ considerata
una guerra a "bassa intensità", perché magari i giornali di tutto il mondo ne parlano
poco, ma basta vedere quanto riportano le agenzie di stampa ogni giorno per comprendere
che si tratta di una guerra quotidiana, che miete vittime da una parte e dall’altra,
sia nell’esercito turco sia nelle forze ribelli curde. Ogni giorno, ci sono molte
vittime ed è una guerra che si svolge anche al di là della frontiera, cioè nella zona
curda irachena dove ormai i curdi turchi si sono spostati. Lì hanno messo i loro “santuari”,
le loro basi e da lì partono le azioni per colpire in zona turca, nel sudest dell’Anatolia.
D.
– Quello che sembra essere cambiato, in effetti, rispetto al passato è che il Pkk,
quello che era un’organizzazione illegale all’interno della Turchia, sembra ormai
essersi spostata al di fuori dei confini turchi in quello che appare come uno Stato
curdo...
R. – Direi che la cosa si è spostata ancora più in là, perché
dato che l’esercito turco sta inseguendo i curdi turchi al di là della frontiera,
e quindi cercando di colpire le loro basi nel Nord dell’Iraq, i curdi a questo punto
si sono spostati ancora più ad est, e cioè hanno messo le loro basi nel Nord dell’Iran.
Quindi, è una guerra che ha anche una progressione geografica…
D. –
Come mai in ambiente internazionale si sente parlare così poco di questo conflitto
che, seppure a bassa intensità, fa molte vittime ed ha una rilevanza importante da
un punto di vista geopolitico?
R. – Bisognerebbe intanto chiedersi perché
la stampa ne parla poco. C’è una disattenzione generale da parte dell’Europa e, bisogna
aggiungere, che da parte del governo turco ci si lamenta frequentemente di questa
disattenzione. Io direi che è una questione che interessa poco non soltanto l’opinione
pubblica internazionale, ma gli stessi governi europei che già nutrono poca attenzione
nei confronti della Turchia, figuriamoci verso una guerra che si svolge all’interno
e nel sudest, nella parte più estrema del Paese.
D. – Quindi, per l’Europa
potrebbe anche trattarsi di un alibi per allontanare un’eventuale data di avvicinamento
della Turchia all’Europa...
R. – La questione non è che emerga all’interno
dei colloqui o delle fasi negoziali tra Ankara e l’Unione Europea, perché poi ci sono
altri temi ben più forti come le questioni economiche. Emerge, piuttosto, la questione
armena. Questo al di là del fatto che si preferisce piuttosto parlare della concessione
di maggiori diritti da parte della Turchia nei confronti delle sue minoranze. (gf)
Spagna Il
nuovo governo spagnolo di centrodestra si appresa a varare la sua prima manovra economica
per ridurre il deficit pubblico, nel tentativo di rassicurare i mercati. Oggi, in
conferenza stampa a Madrid, il premier Rayoi ha annunciato il pacchetto di riforme.
Nigeria Vertice
sulla sicurezza ad Abuja, in Nigeria, dove ieri il presidente, Goodluck Jonathan,
ha convocato i massimi responsabili del governo e dell’intelligence per contrastare
il terrorismo di matrice islamica. L’iniziativa è stata presa in seguito agli attentati
che il gruppo Boko Haram ha lanciato nel giorno di Natale contro la comunità cristiana
del Paese. E proprio ieri, i leader cattolici della Nigeria sono tornati a chiedere
garanzie per la sicurezza dei cittadini.
Egitto C'è preoccupazione
negli Stati Uniti per le perquisizioni condotte ieri nelle sedi di 17 organizzazioni
non governative al Cairo, tra le quali alcune americane. Secondo il Dipartimento di
Stato Usa - che ha protestato con la giunta militare al potere - si tratta di abusi.
Critiche anche dal potenziale candidato alla presidenza egiziana, El Baradei. Le autorità
stanno conducendo un’inchiesta sui finanziamenti stranieri a favore di strutture che,
tra l’altro, hanno partecipato alle manifestazioni di protesta contro l’ex presidente,
Mubarak.
Sudan Un elicottero da combattimento sudanese si è schiantato
oggi poco dopo il decollo da una base dell'aviazione a El Obeid, capoluogo del Kordofan-Nord.
I sei passeggeri che si trovavano a bordo sono tutti morti. Lo ha annunciato l'esercito
sudanese, secondo il quale la causa della sciagura è stato un ''problema tecnico''
al motore che ha preso fuoco.
Somalia Sempre più critica la situazione
in Somalia. Ieri, a Mogadiscio, due coordinatori di Medici Senza Frontiere –
un francese e un indonesiano – sono stati uccisi nel corso di un agguato da
parte di un uomo armato nel quartier generale dell’organizzazione.
Libia-Gheddafi Un’inchiesta
sulla morte di Gheddafi per identificare e punire i responsabili della sua uccisione:
a invocarla la figlia dell’ex rais libico, Aisha, che si è rivolta ad un legale israeliano
per promuovere la causa presso la Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi). Lo riferiscono
fonti di stampa dello Stato ebraico.
Giamaica Il principale partito
di opposizione in Giamaica si avvia alla vittoria delle elezioni generali di ieri.
Secondo i risultati parziali ufficiali, il Partito nazionale del popolo (Pnp), guidato
dall’ex primo ministro Miller, si è aggiudicato 41 dei 63 seggi al parlamento di Kingston.
I laburisti al potere, attraverso il premier Holness, hanno riconosciuto la sconfitta.
Gaza Raid
aereo israeliano, questa mattina, nel nord della Striscia di Gaza. Ucciso un palestinese.
Lo riferiscono fonti ospedaliere locali, precisando che almeno un’altra persona è
rimasta ferita. Secondo l'esercito israeliano, il raid ha colpito un gruppo di estremisti
che si apprestava a lanciare un razzo contro il territorio di Israele.
Afgnanistan Ancora
sangue in Afganistan. Quattro civili, tre poliziotti afghani e un soldato della Nato
sono stati uccisi in diversi episodi avvenuti nelle scorse ore nel sud del Paese.
Lo hanno annunciato fonti dell'Alleanza atlantica.
Corea del Nord La
Corea del Nord non cambierà la sua politica con l’ascesa al potere di Kim Jong-un.
Pyongyang, attraverso un comunicato diffuso in queste ore, ha escluso la possibilità
di dialogo con il governo “fantoccio” della Corea del Sud e ha avvertito che Seoul
pagherà per i peccati commessi fino ad ora.
Filippine Non si arresta
la conta delle vittime nelle Filippine causate dal tifone Washi, che tra il 16 e il
18 dicembre scorsi ha devastato la nona nord dell’isola di Mindanao. Sono 1.249 i
corpi recuperati fino ad ora. Tuttavia, il numero dei dispersi resta elevato. Il servizio
è di Stefano Vecchia:
Le organizzazioni
di soccorso locali, attive da giorni per cercare di prestare assistenza agli scampati,
indicano come presto il numero dei morti potrebbe superare i duemila, mentre sono
420 mila gli abitanti costretti a lasciare le abitazioni inondate o distrutte e 55
mila gli ospiti dei centri di raccolta governativi. Le precipitazioni, copiose in
questi giorni, stanno creando ulteriori difficoltà in aree anche lontane dalle città
costiere di Cagayan de Oro e Illigan, maggiormente colpite da Washi e dove si sono
concentrati gli sforzi dei soccorritori. Le grandi paludi dove convergono i principali
fiumi dell’isola sono ora una distesa d’acqua che si va estendendo oltre i confini
naturali. Confermato da Benito Ramos – a capo della protezione civile filippina –
che le nuove piogge non hanno provocato altre vittime, anche se hanno certamente aggravato
le condizioni della popolazione, oltre a richiedere un ulteriore sforzo alle strutture
di soccorso già al limite. Evitato al momento il rischio di malattie, la precarietà
delle condizioni di vita nelle tendopoli mette a rischio in particolare anziani e
bambini. A questo dramma si aggiunge quello di quanti già avevano dovuto abbandonare
i luoghi di residenza abituali per il conflitto tra militari governativi e ribelli
islamici e che la furia delle acque ha costretto a una nuova migrazione. Intanto,
organizzazioni non governative hanno lanciato l’allarme per la possibilità che trafficanti
di esseri umani possano approfittare della situazione.
Russia Completamente
domato l’incendio scoppiato ieri nel sottomarino nucleare russo, ormeggiato nel cantiere
navale di Murmansk, a ridosso della penisola scandinava. Lo ha fatto sapere il ministro
per le Situazioni di emergenza, che ha escluso qualsiasi ipotesi di fuga radioattiva,
nonostante il forte allarme suscitato dall'accaduto nei Paesi limitrofi. In precedenza,
altre fonti ministeriali russe avevano parlato di rogo ancora in corso. (Panoramica
internazionale a cura di Eugenio Bonanata)
Bollettino del Radiogiornale
della Radio Vaticana Anno LV no. 364