La guerra a "bassa intensità" fra turchi e curdi del Pkk. L'analista: Europa distratta
Torna a montare la tensione tra i ribelli separatisti curdi del Pkk, il Partito dei
Lavoratori del Kurdistan, e il governo turco dopo la strage avvenuta nel Kurdistan
iracheno e in cui hanno perso la vita 35 civili. Il drammatico episodio è avvenuto
a causa dell’errato bombardamento con un aereo senza pilota turco di quella che era
apparsa come una colonna di guerriglieri. L’episodio ha suscitato aspre polemiche
anche all’interno della stessa maggioranza parlamentare che sostiene il premier turco,
Erdogan. Ora, i timori si concentrano su una possibile ritorsione da parte del Pkk
che ha promesso vendetta. Sulla situazione di conflitto al confine tra Turchia e Iraq,
Stefano Leszczynski ha intervistato Marco Ansaldo, inviato del quotidiano
La Repubblica:
R. – E’ considerata
una guerra a "bassa intensità", perché magari i giornali di tutto il mondo ne parlano
poco, ma basta vedere quanto riportano le agenzie di stampa ogni giorno per comprendere
che si tratta di una guerra quotidiana, che miete vittime da una parte e dall’altra,
sia nell’esercito turco sia nelle forze ribelli curde. Ogni giorno, ci sono molte
vittime ed è una guerra che si svolge anche al di là della frontiera, cioè nella zona
curda irachena dove ormai i curdi turchi si sono spostati. Lì hanno messo i loro “santuari”,
le loro basi e da lì partono le azioni per colpire in zona turca, nel sudest dell’Anatolia.
D.
– Quello che sembra essere cambiato, in effetti, rispetto al passato è che il Pkk,
quello che era un’organizzazione illegale all’interno della Turchia, sembra ormai
essersi spostata al di fuori dei confini turchi in quello che appare come uno Stato
curdo...
R. – Direi che la cosa si è spostata ancora più in là, perché
dato che l’esercito turco sta inseguendo i curdi turchi al di là della frontiera,
e quindi cercando di colpire le loro basi nel Nord dell’Iraq, i curdi a questo punto
si sono spostati ancora più ad est, e cioè hanno messo le loro basi nel Nord dell’Iran.
Quindi, è una guerra che ha anche una progressione geografica…
D. –
Come mai in ambiente internazionale si sente parlare così poco di questo conflitto
che, seppure a bassa intensità, fa molte vittime ed ha una rilevanza importante da
un punto di vista geopolitico?
R. – Bisognerebbe intanto chiedersi perché
la stampa ne parla poco. C’è una disattenzione generale da parte dell’Europa e, bisogna
aggiungere, che da parte del governo turco ci si lamenta frequentemente di questa
disattenzione. Io direi che è una questione che interessa poco non soltanto l’opinione
pubblica internazionale, ma gli stessi governi europei che già nutrono poca attenzione
nei confronti della Turchia, figuriamoci verso una guerra che si svolge all’interno
e nel sudest, nella parte più estrema del Paese.
D. – Quindi, per l’Europa
potrebbe anche trattarsi di un alibi per allontanare un’eventuale data di avvicinamento
della Turchia all’Europa...
R. – La questione non è che emerga all’interno
dei colloqui o delle fasi negoziali tra Ankara e l’Unione Europea, perché poi ci sono
altri temi ben più forti come le questioni economiche. Emerge, piuttosto, la questione
armena. Questo al di là del fatto che si preferisce piuttosto parlare della concessione
di maggiori diritti da parte della Turchia nei confronti delle sue minoranze. (gf)