Docenti italiani di teologia riuniti per riflettere sull’eredità del Vaticano II
Che impatto ha avuto il Concilio Vaticano II sul pensare teologico, sulle sue forme
e sul suo metodo? Partendo da questo interrogativo si è mosso il XXII Corso di aggiornamento
per docenti di teologia che si è chiuso ieri a Roma alla Domus Pacis. “A cinquant’anni
esatti dal concilio – ha spiegato all’Avvenire il presidente dell’Associazione teologica
italiana (Ati), don Roberto Repole – oltre 60 teologi dell’Ati si sono posti la domanda
sull’eredita lasciata da questo evento. Non si può non notare, alludendo alle parole
di Giovanni XXIII, il “balzo in avanti” avvenuto da allora nella teologia”. “La teologia
postconciliare – ha aggiunto il religioso – ha potuto ripesare i contenuti della fede,
ha sviluppato nuovi linguaggi e ha assunto in modo nuovo la sua fondamentale responsabilità
di custodia e annuncio del vangelo”. Durante il corso, con il quale si è avviato il
50.mo dell’apertura del Concilio, la verifica del “nuovo paradigma teologico” del
Vaticano II è stata affidata ad Andrés Torres Queiruga, docente di filosofia della
religione all’università di Santiago. A questo percorso si sono accompagnate delle
riflessioni dei teologi su alcuni temi particolari come il ritorno alle fonti, la
cristologia, il linguaggio, le reazione nella teologia evangelica. (M.G.)