Uruguay: sì del Senato alla legalizzazione dell’aborto. Inascoltato l’appello dei
vescovi
Il Senato dell’Uruguay ha approvato ieri il progetto di legge sulla legalizzazione
dell’aborto. Il testo, presentato dalla coalizione di sinistra Frente Amplio, attribuisce
alla madre la possibilità di decidere l’aborto entro le prime 12 settimane dalla data
di concepimento, come sua scelta esclusiva, mentre non esistono limiti di tempo in
casi speciali come lo stupro o la diagnosi di gravi malattie del feto. Nei prossimi
mesi, il disegno di legge passerà all’approvazione della Camera dei deputati dove,
comunque, il Frente Amplio gode di netta maggioranza. Resta così inascoltata la voce
della Chiesa che, nei giorni scorsi, aveva ribadito l’importanza della tutela della
vita sin dal concepimento. “La vita è sacra e divina”: aveva scritto mons. Jaime
Fuentes, vescovo di Minas, in Uruguay, in una lettera aperta inviata al Senato uruguayano.
Nella missiva, mons. Fuentes chiedeva ai senatori: “Cosa pretendete di fare con la
legge sull’aborto? Non basta la violenza che vediamo ogni giorno? Volete facilitare
quella più grande, ovvero uccidere i bambini nel grembo delle loro madri?” E ancora,
il vescovo di Minas chiedeva: “Pensate che, attraverso la legalizzazione, l’aborto
cesserà di essere un crimine che grava sulla coscienza della donna che lo commette?
Credete che questa sarà una legge progressista perché permetterà alle donne di decidere
del proprio corpo?”. No, scriveva ancora il presule, “questo non è quello che pensano
le donne dell’Uruguay”. Il vescovo, poi, ricordava il calo demografico registrato
nel Paese negli ultimi anni, di fronte al quale, paradossalmente, “la risposta vuole
essere quella di pensare che l’aborto sia un diritto della donna, disconoscendo così
il diritto alla vita del nascituro?”. Ma davvero, chiedeva mons. Fuentes, “la vita
di un innocente sarà vittima della politica?”. “Viviamo tempi che richiedono grandezza
di spirito – concludeva il vescovo di Minas – Bisogna cercare soluzioni umane per
la più grande ed umana delle situazioni. Il Senato ed il popolo uruguayani hanno le
capacità di trovarle”. La diatriba sull’interruzione volontaria di gravidanza va avanti
in Uruguay da diversi anni: l'11 novembre 2008 il Parlamento del Paese approvò un
disegno di legge sulla “Salute sessuale e riproduttiva” che definiva, in determinate
circostanze, l’aborto nelle prime dodici settimane di gravidanza come diritto della
donna. Si stabilivano, inoltre, i doveri del medico e i tempi per la presentazione
dell'obiezione di coscienza da parte dei professionisti sanitari e si modificavano
gli articoli del Codice penale riferiti al “crimine dell'aborto”, introducendo un'ampia,
anche se non totale, depenalizzazione di questa pratica. Tre giorni dopo, tuttavia,
l'allora presidente Tabaré Vázquez, medico, pose il veto sul disegno di legge ed inviò
al Parlamento un messaggio in cui spiegava la sua decisione con riferimenti a dati
scientifici, ai diritti stabiliti nella Costituzione e agli impegni assunti dall'Uruguay
con la firma delle Convenzioni sui diritti umani. “C'è un consenso sul fatto che l'aborto
è un male sociale che bisogna evitare - scrisse l'ex presidente - Nei Paesi in cui
è stato depenalizzato, gli aborti sono aumentati”. L'allora Capo di Stato dichiarò
infine che il vero grado di civiltà di una cultura “si misura in rapporto a come si
difendono i più bisognosi”. (A cura di Isabella Piro)