Funerali di Giorgio Bocca nella Basilica di San Vittore in Corpo a Milano
Un "partigiano della parola", che credeva nel valore della verità. Così don Roberto
Vignolo, ha ricordato il giornalista e saggista Giorgio Bocca, scomparso la sera di
Natale a 91 anni, durante la celebrazione dei funerali nella Basilica di San Vittore
in Corpo, a Milano. Don Vignolo ha affermato che Bocca non è stato solo ''qualcuno
che ha lavorato con le parole, ma che “ha onorato la potenza della parola'' con cui
“mettiamo ordine nel caos della vita e possiamo comunicare": per questo, ha concluso,
la sua è "un'eredità notevole, umanissima e cristianissima”. La salma verrà cremata
e tumulata nel cimitero di La Salle in Val d'Aosta. L’esperienza di partigiano e di
“combattente” aveva segnato tutta l’attività di Giorgio Bocca. Lo conferma Agostino
Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano, intervistato da Adriana Masotti
R.
– Certamente la sua esperienza come partigiano è stata fondamentale per lui e direi
anche la militanza nel gruppo Giustizia e Libertà, nel Partito d’Azione; il che significa
anche che il suo essere partigiano aveva un forte spessore di rigore etico e anche
di intolleranza verso un avversario considerato non solo un avversario politico ma
anche moralmente inaccettabile. Questo è il senso di un antifascismo che lo ha accompagnato
poi per tutta la vita ed è tipico anche delle sue origini piemontesi.
D. –
Nei riguardi dell’Italia, di cui ha scritto le vicende di mezzo secolo, Bocca nutriva
un certo fastidio negli ultimi anni. Scriveva: “La politica com’è in Italia mi ha
stufato”. Ma soprattutto nei riguardi del clima generale del Paese dove vedeva prevalere
l’interesse particolare, la corruzione, piuttosto che l’onestà e l’etica nelle scelte…
R.
– Il rapporto tra Bocca e l’Italia è un rapporto anche di amore profondo, pur nell’ostilità
verso i suoi aspetti più deteriori, verso quella amoralità che egli non sopportava.
Lui si definiva un anti-italiano, ma a modo suo è stato profondamente italiano. Uomo
di grandi speranze nel dopoguerra, invece negli ultimi anni ha sentito soprattutto
il grigiore, la decadenza, le prevalenza del conformismo, l’incapacità di rinnovare
questa speranza di cambiare.
D. – Anche la professione giornalistica di Bocca
rispecchia la sua persona: un giornalismo di inchiesta, di battaglia civile che nel
panorama italiano non è poi così frequente…
D. – Certamente. Giorgio Bocca
è stato un giornalista militante, se così si può dire; militante nel senso di raccontare
la verità come lui la vedeva, spesso in chiave polemica, ma anche militante nel senso
di andare a cercare un’altra Italia, qualcosa da salvare, spesso sbagliando, perché
Giorgio Bocca è un uomo che ha sbagliato spesso: nei confronti del terrorismo, poi
nei confronti della Lega. Ma direi che ha sbagliato per eccesso di speranza, per eccesso
di generosità.
D. – Giorgio Bocca, un anno fa, ha scritto di Dio: “Capisco
il bisogno di cercarlo ma è una ricerca per me troppo faticosa, è un Dio troppo nascosto”.
Peccato questa rinuncia...
R. - Forse questo è stato il grande ostacolo a una
ricerca religiosa, proprio quel suo stesso rigore che gli impediva di accettare e
lo spingeva sempre, invece, verso un andare oltre, verso un rifiuto di ciò che poteva
sembrare troppo semplice. Credo che in questo egli non sia riuscito a comprendere
come anche la Chiesa, con cui lui è stato spesso in polemica, in realtà rappresenta
una risorsa importante per una rinascita italiana, per contrastare le tante debolezze
di una società che non è mai riuscita a trovare nei suoi fondamenti laici la forza
per un rigore costante.