2011-12-27 17:16:03

Funerali di Giorgio Bocca nella Basilica di San Vittore in Corpo a Milano


Un "partigiano della parola", che credeva nel valore della verità. Così don Roberto Vignolo, ha ricordato il giornalista e saggista Giorgio Bocca, scomparso la sera di Natale a 91 anni, durante la celebrazione dei funerali nella Basilica di San Vittore in Corpo, a Milano. Don Vignolo ha affermato che Bocca non è stato solo ''qualcuno che ha lavorato con le parole, ma che “ha onorato la potenza della parola'' con cui “mettiamo ordine nel caos della vita e possiamo comunicare": per questo, ha concluso, la sua è "un'eredità notevole, umanissima e cristianissima”. La salma verrà cremata e tumulata nel cimitero di La Salle in Val d'Aosta. L’esperienza di partigiano e di “combattente” aveva segnato tutta l’attività di Giorgio Bocca. Lo conferma Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, intervistato da Adriana Masotti RealAudioMP3

R. – Certamente la sua esperienza come partigiano è stata fondamentale per lui e direi anche la militanza nel gruppo Giustizia e Libertà, nel Partito d’Azione; il che significa anche che il suo essere partigiano aveva un forte spessore di rigore etico e anche di intolleranza verso un avversario considerato non solo un avversario politico ma anche moralmente inaccettabile. Questo è il senso di un antifascismo che lo ha accompagnato poi per tutta la vita ed è tipico anche delle sue origini piemontesi.

D. – Nei riguardi dell’Italia, di cui ha scritto le vicende di mezzo secolo, Bocca nutriva un certo fastidio negli ultimi anni. Scriveva: “La politica com’è in Italia mi ha stufato”. Ma soprattutto nei riguardi del clima generale del Paese dove vedeva prevalere l’interesse particolare, la corruzione, piuttosto che l’onestà e l’etica nelle scelte…

R. – Il rapporto tra Bocca e l’Italia è un rapporto anche di amore profondo, pur nell’ostilità verso i suoi aspetti più deteriori, verso quella amoralità che egli non sopportava. Lui si definiva un anti-italiano, ma a modo suo è stato profondamente italiano. Uomo di grandi speranze nel dopoguerra, invece negli ultimi anni ha sentito soprattutto il grigiore, la decadenza, le prevalenza del conformismo, l’incapacità di rinnovare questa speranza di cambiare.

D. – Anche la professione giornalistica di Bocca rispecchia la sua persona: un giornalismo di inchiesta, di battaglia civile che nel panorama italiano non è poi così frequente…

D. – Certamente. Giorgio Bocca è stato un giornalista militante, se così si può dire; militante nel senso di raccontare la verità come lui la vedeva, spesso in chiave polemica, ma anche militante nel senso di andare a cercare un’altra Italia, qualcosa da salvare, spesso sbagliando, perché Giorgio Bocca è un uomo che ha sbagliato spesso: nei confronti del terrorismo, poi nei confronti della Lega. Ma direi che ha sbagliato per eccesso di speranza, per eccesso di generosità.

D. – Giorgio Bocca, un anno fa, ha scritto di Dio: “Capisco il bisogno di cercarlo ma è una ricerca per me troppo faticosa, è un Dio troppo nascosto”. Peccato questa rinuncia...

R. - Forse questo è stato il grande ostacolo a una ricerca religiosa, proprio quel suo stesso rigore che gli impediva di accettare e lo spingeva sempre, invece, verso un andare oltre, verso un rifiuto di ciò che poteva sembrare troppo semplice. Credo che in questo egli non sia riuscito a comprendere come anche la Chiesa, con cui lui è stato spesso in polemica, in realtà rappresenta una risorsa importante per una rinascita italiana, per contrastare le tante debolezze di una società che non è mai riuscita a trovare nei suoi fondamenti laici la forza per un rigore costante.








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