"Doamne, iubim condiţia ta de copil, non violenţa ta, dar suferim pentru faptul că
violenţa continuă în lume": Benedict XVI, la omilia din Noaptea Sfântă a Naşterii
Domnului
RV 25 dec 2011. Benedict XVI a prezidat Sfânta Liturghie în
Noaptea Sfântă a Naşterii Domnului în bazilica San Pietro, începând
cu ora locală 22.00. Papa a subliniat la omilia celebrării liturgice
darul păcii pe care Fiul lui Dumnezeu l-a adus în lume prin naşterea sa după trup,
dar şi faptul că în lume suferinţacontinuă iar pacea
lipseşte în multe inimi şi multe popoare.
Redăm mai jos omilia
papei Benedict XVI, pentru moment, în versiunea italiană:
Cari
fratelli e sorelle,
La lettura tratta dalla Lettera di san Paolo Apostolo a
Tito, che abbiamo appena ascoltato, inizia solennemente con la parola “apparuit”,
che ritorna poi di nuovo anche nella lettura della Messa dell’aurora: apparuit – “è
apparso”. È questa una parola programmatica con cui la Chiesa, in modo riassuntivo,
vuole esprimere l’essenza del Natale. Prima, gli uomini avevano parlato e creato immagini
umane di Dio in molteplici modi. Dio stesso aveva parlato in diversi modi agli uomini
(cfr Eb 1,1: lettura nella Messa del giorno). Ma ora è avvenuto qualcosa di più: Egli
è apparso. Si è mostrato. È uscito dalla luce inaccessibile in cui dimora. Egli stesso
è venuto in mezzo a noi. Questa era per la Chiesa antica la grande gioia del Natale:
Dio è apparso. Non è più soltanto un’idea, non soltanto qualcosa da intuire a partire
dalle parole. Egli è “apparso”. Ma ora ci domandiamo: Come è apparso? Chi è Lui veramente?
La lettura della Messa dell’aurora dice al riguardo: “apparvero la bontà di Dio …
e il suo amore per gli uomini” (Tt 3,4). Per gli uomini del tempo precristiano, che
di fronte agli orrori e alle contraddizioni del mondo temevano che anche Dio non fosse
del tutto buono, ma potesse senz’altro essere anche crudele ed arbitrario, questa
era una vera “epifania”, la grande luce che ci è apparsa: Dio è pura bontà. Anche
oggi, persone che non riescono più a riconoscere Dio nella fede si domandano se l’ultima
potenza che fonda e sorregge il mondo sia veramente buona, o se il male non sia altrettanto
potente ed originario quanto il bene e il bello, che in attimi luminosi incontriamo
nel nostro cosmo. “Apparvero la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini”: questa
è una nuova e consolante certezza che ci viene donata a Natale.
In tutte e
tre le Messe del Natale la liturgia cita un brano tratto dal Libro del Profeta Isaia,
che descrive ancora più concretamente l’epifania avvenuta a Natale: “Un bambino è
nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome
sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande
sarà il suo potere e la pace non avrà fine” (Is 9,5s). Non sappiamo se il profeta
con questa parola abbia pensato a un qualche bambino nato nel suo periodo storico.
Sembra però impossibile. Questo è l’unico testo nell’Antico Testamento in cui di un
bambino, di un essere umano si dice: il suo nome sarà Dio potente, Padre per sempre.
Siamo di fronte ad una visione che va di gran lunga al di là del momento storico verso
ciò che è misterioso, collocato nel futuro. Un bambino, in tutta la sua debolezza,
è Dio potente. Un bambino, in tutta la sua indigenza e dipendenza, è Padre per sempre.
“E la pace non avrà fine”. Il profeta ne aveva prima parlato come di “una grande luce”
e a proposito della pace proveniente da Lui aveva affermato che il bastone dell’aguzzino,
ogni calzatura di soldato che marcia rimbombando, ogni mantello intriso di sangue
sarebbero stati bruciati (cfr Is 9,1.3-4).
Dio è apparso – come bambino. Proprio
così Egli si contrappone ad ogni violenza e porta un messaggio che è pace. In questo
momento, in cui il mondo è continuamente minacciato dalla violenza in molti luoghi
e in molteplici modi; in cui ci sono sempre di nuovo bastoni dell’aguzzino e mantelli
intrisi di sangue, gridiamo al Signore: Tu, il Dio potente, sei apparso come bambino
e ti sei mostrato a noi come Colui che ci ama e mediante il quale l’amore vincerà.
E ci hai fatto capire che, insieme con Te, dobbiamo essere operatori di pace. Amiamo
il Tuo essere bambino, la Tua non violenza, ma soffriamo per il fatto che la violenza
perdura nel mondo, e così Ti preghiamo anche: dimostra la Tua potenza, o Dio. In questo
nostro tempo, in questo nostro mondo, fa’ che i bastoni dell’aguzzino, i mantelli
intrisi di sangue e gli stivali rimbombanti dei soldati vengano bruciati, così che
la Tua pace vinca in questo nostro mondo.
Natale è epifania – il manifestarsi
di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla
di Betlemme, non nei palazzi dei re. Quando, nel 1223, Francesco di Assisi celebrò
a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese
visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato
il Natale “la festa delle feste” – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato
con “ineffabile premura” (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787). Baciava con grande
devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera
dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ivi). Per la Chiesa antica, la festa delle
feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte
e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio
stesso. Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia
oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero
pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto
qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di
Gesù. Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento
in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto
in una mangiatoia. La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come
bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo
di Assisi, trasformando la fede in amore. “Apparvero la bontà di Dio e il suo amore
per gli uomini”: questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova.
Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo.
Così l’anno liturgico ha ricevuto un secondo centro in una festa che è, anzitutto,
una festa del cuore.
Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella
nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della
fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese
chiara l’umiltà di Dio. Dio è diventato povero. Il suo Figlio è nato nella povertà
della stalla. Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di
persone umane, in condizione di chiedere il loro – il nostro – amore. Oggi il Natale
è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero
dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità. Preghiamo il
Signore di aiutarci ad attraversare con lo sguardo le facciate luccicanti di questo
tempo fino a trovare dietro di esse il bambino nella stalla di Betlemme, per scoprire
così la vera gioia e la vera luce.
Sulla mangiatoia, che stava tra il bue e
l’asino, Francesco faceva celebrare la santissima Eucaristia (cfr 1 Celano, 85: Fonti,
469). Successivamente, sopra questa mangiatoia venne costruito un altare, affinché
là dove un tempo gli animali avevano mangiato il fieno, ora gli uomini potessero ricevere,
per la salvezza dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello immacolato Gesù Cristo,
come racconta il Celano (cfr 1 Celano, 87: Fonti, 471). Nella Notte santa di Greccio,
Francesco quale diacono aveva personalmente cantato con voce sonora il Vangelo del
Natale. Grazie agli splendidi canti natalizi dei frati, la celebrazione sembrava tutta
un sussulto di gioia (cfr 1 Celano, 85 e 86: Fonti, 469 e 470). Proprio l’incontro
con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa.
Chi
oggi vuole entrare nella chiesa della Natività di Gesù a Betlemme, scopre che il portale,
che un tempo era alto cinque metri e mezzo e attraverso il quale gli imperatori e
i califfi entravano nell’edificio, è stato in gran parte murato. È rimasta soltanto
una bassa apertura di un metro e mezzo. L’intenzione era probabilmente di proteggere
meglio la chiesa contro eventuali assalti, ma soprattutto di evitare che si entrasse
a cavallo nella casa di Dio. Chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù,
deve chinarsi. Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale
vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso
quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”.
Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci
impedisce di percepire la vicinanza di Dio. Dobbiamo seguire il cammino interiore
di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore
che rende il cuore capace di vedere. Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per
così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare
il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si
nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato. Celebriamo così la liturgia di questa
Notte santa e rinunciamo a fissarci su ciò che è materiale, misurabile e toccabile.
Lasciamoci rendere semplici da quel Dio che si manifesta al cuore diventato semplice.
E preghiamo in quest’ora anzitutto anche per tutti coloro che devono vivere il Natale
in povertà, nel dolore, nella condizione di migranti, affinché appaia loro un raggio
della bontà di Dio; affinché tocchi loro e noi quella bontà che Dio, con la nascita
del suo Figlio nella stalla, ha voluto portare nel mondo. Amen.