2011-12-21 14:13:27

La protesta delle donne scuote l'Egitto: gli Usa condannano le violenze dei militari contro le dimostranti


Seggi aperti in Egitto per il ballottaggio della seconda tornata di elezioni legislative, in un Paese sconvolto dalle proteste al Cairo che hanno fatto 14 morti in cinque giorni. Ieri sono scese in piazza migliaia di donne per protestare contro le violenze subìte in particolare dalle dimostranti. Una situazione che preoccupa anche gli Stati Uniti, con il segretario di Stato, Hillary Clinton, che ha fermamente condannato le aggressioni dei militari alle donne. Un rapporto, quello tra Washington e Il Cairo storicamente saldo; ricordiamo, ad esempio, che il famoso discorso del presidente Obama al mondo arabo fu pronunciato proprio nell’Università della capitale egiziana. Questa presa di posizione così forte, da parte di Washington può di fatti scardinare questo legame? Salvatore Sabatino ne ha parlato con Francesca Paci del quotidiano La Stampa, che ha seguito la rivolta a Piazza Tahrir:RealAudioMP3

R. – Scardinarlo è difficile. L’Egitto rimane un Paese assolutamente importantissimo e strategico soprattutto per il mantenimento della pace con Israele. Anche oggi i Salafiti, il partito alla destra dei Fratelli musulmani, che è stata la vera novità dei primi risultati delle elezioni, ha detto che è intenzionato a mantenere il rapporto con Israele. Certamente però se le discussioni e gli scontri dovessero andare avanti probabilmente Washington non potrebbe che ritoccare al ribasso il finanziamento di circa due miliardi di dollari che ogni anno versa all’Egitto, due terzi dei quali in particolare all’esercito.

D. – Un Paese, l’Egitto, che vive un delicato momento di transizione dopo la fine dell’era Mubarak, e che guarda al proprio futuro con speranza e timori. Come mai non si riesce a placare la violenza? E’ frutto di questi timori?

R. – Ci sono diverse forze in questo momento al lavoro in Egitto. Da una parte c’è l’esercito che, certamente, continuando a dirsi il garante della transizione democratica, sta chiaramente dimostrando di non voler rinunciare, non tanto al potere, ma certamente ai privilegi che da quel potere derivano. Dall’altra c’è la fortissima affermazione dei partiti islamici, non soltanto dei tanto temuti in Occidente “Fratelli musulmani”, ma soprattutto alla loro destra i Salafiti, che menzionavamo prima. Forze che insieme hanno già dimostrato di poter ottenere il 50 per cento dell’elettorato. Dall’altra parte ci sono poi i liberali, quelli che erano in piazza i primi giorni della rivoluzione, i veri artefici della caduta di Mubarak, che però peccano probabilmente di disorganizzazione, di incapacità di allestire una vera e propria forza politica al di là della forza di rottura. Tutte queste forze si inseriscono in un contesto, che è quello di un Medio Oriente in grande fermento, dove certamente l’Occidente non può ignorare quello che sta succedendo anche in Siria. Quindi se da una parte si è salutato l’Egitto, il più grande Paese dell’area, che andava alle urne, dove vincevano gli islamisti, che però potevano anche andare d’accordo con la democrazia, non si possono chiudere gli occhi su quello che sta succedendo in questi ultimi giorni.

D. - Molti osservatori segnalano la crisi economica che attanaglia il Paese con un settore portante come quello turistico che è praticamente paralizzato. Quanto questo alimenta la tensione?

R. – Questo effettivamente è un problema con cui anche i Fratelli musulmani - che sono il partito che ha ottenuto la maggioranza dei seggi – devono fare i conti, tanto è vero che all’interno dei Fratelli musulmani ci sono diverse forze, quelle più conservatrici e altre più disposte a tenere in conto lo sviluppo economico. E’ proprio su questo che bisogna puntare veramente lo sguardo, nel senso che Washington potrebbe esercitare anche a una pressione sull’esercito, che già tempo fa ha rifiutato gli aiuti del Fondo monetario internazionale che volevano sostenere l’Egitto al momento di crisi.(bf)







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