Domani gli osservatori della Lega Araba in Siria. Non si ferma la repressione
Sale la tensione in Siria. Il presidente Bashar al Assad ha promulgato una legge che
prevede la "pena di morte" per chi "fornisce armi" agli autori di "atti terroristici".
Il regime ha anche condotto una vasta esercitazione militare per prepararsi a respingere
"qualsiasi aggressione contro la madre patria", riferisce l'agenzia ufficiale Sana.
Sul terreno ancora morti, nelle ultime 24 ore sarebbero stati uccisi oltre 60 oppositori
pro-democrazia. Il servizio è di Marina Calculli:
E in Siria
domani arriverà una prima squadra di osservatori per preparare l'avvio della missione
di monitoraggio prevista dal protocollo firmato al Cairo tra Damasco e Lega Araba.
Cosa cambierà? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto ad Alberto Ventura, docente di
Storia dei Paesi Islamici all’Università della Calabria:
R. – L’accordo
è sicuramente un passo importante, è un segnale che potrebbe avere dei risultati positivi
nel medio periodo. Non credo che possa avere un effetto immediato: lo vediamo dal
fatto che le manifestazioni continuano in maniera anche piuttosto sanguinosa, come
del resto, parallelamente a quello che succede in Egitto, dove pure siamo arrivati
addirittura ad elezioni, si profila un futuro diverso, il regime è già caduto da tempo,
ma dove, di fatto, i rivoluzionari sono convinti che il regime non sia del tutto stato
estirpato dal Paese e continuano la loro protesta. Non si può pensare che una piazza
come quella siriana - come quella libica, quella tunisina e quella egiziana prima
di essa – possa improvvisamente disinnescarsi semplicemente perché c’è questa idea
di un protocollo.
D. – Comunque la Lega Araba ha avuto una parte importante?
R.
– Certamente importante. Il segretario Nabil Elaraby ha descritto le procedure tecnicamente
- come avverranno - di questo primo ingresso di osservatori. Quindi, si parla di un
processo che già si sta avviando. E’ però piuttosto incerto nell’esito, proprio perché
la piazza non ritiene che questo tipo di attenzione internazionale possa essere sufficiente.
Non dimentichiamo che c’è stata anche una grossa sollevazione nella stessa Siria contro
la Lega Araba, che si era messa contro il Paese, e quindi è stata vista come una sorta
di tradimento. La Lega Araba non rappresenta affatto una garanzia di pacificazione,
in questo momento, nella situazione siriana piuttosto effervescente e in ebollizione.
D.
– I primi osservatori internazionali arriveranno entro le prossime 72 ore. Saranno
gruppi composti da dieci esperti. Che cosa ci si potrà aspettare proprio nei primi
momenti di questa presenza?
R. – Innanzitutto, una conoscenza più sul campo
di quello che sta succedendo. In un secondo momento, credo che queste delegazioni
dovranno osservare se effettivamente vengono violati, come pare ormai assodato, i
diritti fondamentali di democrazia, e quindi sorvegliare, far capire che il Paese
è sotto osservazione e che il governo siriano non può più procedere nella maniera
in cui ha proceduto sinora, con una repressione piuttosto violenta e brutale. Più
aumentano i morti – si parlava appunto di 100 morti nelle ultimissime ore – e più
sarà difficile placare l’ira di questi rivoluzionari.
D. - Proprio in questo
scenario, l’Assemblea generale dell’Onu ha approvato una risoluzione che condanna
gli abusi contro i diritti umani commessi proprio in Siria...
R. – Sappiamo
che nelle Nazioni Unite la posizione non è unanime. Indubbiamente, la risoluzione
è stata approvata, ma ci sono stati dei voti contrari. Di certo sappiamo, al di là
dei tecnicismi dell’Onu, che esistono dei veti in qualche modo riguardanti la Siria.
Alcuni Paesi non sono affatto d’accordo con questa condanna generalizzata. Io credo
che, sempre di più, nel prossimo futuro, la posizione fondamentale sarà quella di
Cina e Russia e della stessa Turchia: tutti Stati che hanno la pretesa di recitare
un ruolo più o meno importante a livello regionale e che vedono chiaramente nella
questione siriana un elemento di strategia assolutamente non trascurabile.
D.
– Da una parte gli attivisti dei diritti umani, in Siria, e la forte repressione;
dall’altra Damasco, che continua a ribadire “esistono sacche di terrorismo presenti
nel Paese”. In sostanza, come in Yemen, troviamo due fronti che si stanno scontrando:
in piazza ci sono sostenitori di Assad e gli oppositori...
R. – Sono due questioni
diverse, naturalmente: il fatto di evocare il terrorismo è una sorta di riflesso condizionato
ormai e l’abbiamo visto operato anche da Gheddafi ampiamente. Per spaventare in qualche
misura la comunità internazionale si sostiene che questo tipo di rivoluzioni siano
in parte animate dal terrorismo islamico. L’altro punto è quello dei favorevoli al
regime. Qui bisogna valutare Paese per Paese. Sicuramente in Egitto, dove pure ci
sono state manifestazioni favorevoli a Mubarak, nel momento in cui la rivoluzione
stava scoppiando, si è trattato di elementi sostanzialmente prezzolati, che non rappresentavano
certamente una volontà popolare. La Libia è un caso analogo: coloro che hanno difeso
Gheddafi lo hanno fatto non certo per motivi ideologici, ma per altri generi di schieramenti
e di alleanze. In Siria forse la situazione è un poco diversa, nel senso che potrebbe,
effettivamente, esserci un nocciolo duro, per quanto io credo minoritario, a questo
punto, che si vuole mantenere fedele al regime e credo che per valutarlo proprio la
funzione degli osservatori potrebbe essere importante: valutare cioè effettivamente
se il Paese è diviso o se non si tratta invece di una rivoluzione generalizzata, alla
quale il governo, rimasto abbastanza solo, vuole opporsi con la violenza più assoluta.
(ap)