Daghestan: ucciso giornalista di un settimanale dell'opposizione
Grande preoccupazione è stata espressa oggi a Ginevra dall’Alto commissariato per
i diritti dell’uomo per l’omicidio di Khadzhimurad Kamalov, avvenuto il 15 dicembre
scorso in Daghestan, Repubblica caucasica della Federazione Russa. La vittima era
un giornalista, fondatore di un settimanale di opposizione famoso per le grandi inchieste
sulle violenze condotte dalla polizia in Daghestan, ritenuta una delle regioni più
pericolose d’Europa. Quello di Kamalov è solo l’ultimo nome di una lunga lista di
attacchi negli anni ai giornalisti in Russia, spesso mortali. Questi casi sono ancora
quasi tutti irrisolti. Francesca Sabatinelli ha intervistato Giorgio Comai,
redattore di Osservatorio Balcani e Caucaso.
R. – Come
altri giornalisti e altri attivisti per la difesa dei diritti umani ha pagato il suo
impegno a raccontare ciò che vedeva, ciò che succedeva nella sua regione. Quindi,
anche l’omicidio di Kamalov è l’ennesimo esempio che chi critica le autorità apertamente,
chi lotta per la tutela dei diritti umani nel Caucaso, è a rischio, non è assolutamente
tutelato dalle autorità.
D. – Quindi è impossibile uscire indenni dalle
critiche nei confronti dell’autorità costituita e non ultimo anche nei confronti delle
forze dell’ordine?
R. – Sì, come si comportano le forze dell’ordine
nella regione è un problema forte. Continuano a violare i diritti umani eseguendo
rapimenti, torturando, la tortura è un fenomeno assolutamente diffuso nel Caucaso
del nord, in particolare in Daghestan. Attraverso arresti arbitrari, torture e sistematiche
violazioni di diritti umani, colpiscono la popolazione locale che spesso reagisce.
Quindi buona parte di coloro che si uniscono al movimento ribelle sono persone che
lo fanno spinte da un desiderio di vendetta o di riscossa nei confronti delle violazioni
che vengono costantemente perpetrate ai loro danni. Abbiamo sentito garantire che
sicuramente verranno puniti i colpevoli dell’omicidio di Kamalov, abbiamo sentito
buoni propositi da parte delle autorità: ciò che vediamo nella realtà è che esponenti
delle forze dell’ordine possono permettersi di violare continuamente i diritti umani
della popolazione locale senza alcun rischio di veder punito il proprio comportamento.
D.
– Quando si parla di ribelli, chi si intende? Le autorità puntano il dito contro i
fondamentalismi islamici, accusati di essere all’origine degli attacchi terroristici...
R.
– Siamo di fronte a fenomeni che, da parte ribelle, sicuramente si realizzano in attacchi,
in attentati, in omicidi mirati, quindi in tecniche sicuramente anche terroristiche,
questo è innegabile. Ma ciò che è alla base di questo movimento è spesso un desiderio
di riscossa e di vendetta nei confronti di continue violazioni che vengono commesse
da parte delle forze di polizia e quindi una reazione proprio a questo sistema. Si
genera un clima d’odio nei confronti dello Stato che porta ad un perpetuarsi del conflitto
che ha luogo in Europa, ma di cui l’Europa spesso si dimentica.(bf)