2011-12-21 14:39:20

Daghestan: ucciso giornalista di un settimanale dell'opposizione


Grande preoccupazione è stata espressa oggi a Ginevra dall’Alto commissariato per i diritti dell’uomo per l’omicidio di Khadzhimurad Kamalov, avvenuto il 15 dicembre scorso in Daghestan, Repubblica caucasica della Federazione Russa. La vittima era un giornalista, fondatore di un settimanale di opposizione famoso per le grandi inchieste sulle violenze condotte dalla polizia in Daghestan, ritenuta una delle regioni più pericolose d’Europa. Quello di Kamalov è solo l’ultimo nome di una lunga lista di attacchi negli anni ai giornalisti in Russia, spesso mortali. Questi casi sono ancora quasi tutti irrisolti. Francesca Sabatinelli ha intervistato Giorgio Comai, redattore di Osservatorio Balcani e Caucaso.RealAudioMP3

R. – Come altri giornalisti e altri attivisti per la difesa dei diritti umani ha pagato il suo impegno a raccontare ciò che vedeva, ciò che succedeva nella sua regione. Quindi, anche l’omicidio di Kamalov è l’ennesimo esempio che chi critica le autorità apertamente, chi lotta per la tutela dei diritti umani nel Caucaso, è a rischio, non è assolutamente tutelato dalle autorità.

D. – Quindi è impossibile uscire indenni dalle critiche nei confronti dell’autorità costituita e non ultimo anche nei confronti delle forze dell’ordine?

R. – Sì, come si comportano le forze dell’ordine nella regione è un problema forte. Continuano a violare i diritti umani eseguendo rapimenti, torturando, la tortura è un fenomeno assolutamente diffuso nel Caucaso del nord, in particolare in Daghestan. Attraverso arresti arbitrari, torture e sistematiche violazioni di diritti umani, colpiscono la popolazione locale che spesso reagisce. Quindi buona parte di coloro che si uniscono al movimento ribelle sono persone che lo fanno spinte da un desiderio di vendetta o di riscossa nei confronti delle violazioni che vengono costantemente perpetrate ai loro danni. Abbiamo sentito garantire che sicuramente verranno puniti i colpevoli dell’omicidio di Kamalov, abbiamo sentito buoni propositi da parte delle autorità: ciò che vediamo nella realtà è che esponenti delle forze dell’ordine possono permettersi di violare continuamente i diritti umani della popolazione locale senza alcun rischio di veder punito il proprio comportamento.

D. – Quando si parla di ribelli, chi si intende? Le autorità puntano il dito contro i fondamentalismi islamici, accusati di essere all’origine degli attacchi terroristici...

R. – Siamo di fronte a fenomeni che, da parte ribelle, sicuramente si realizzano in attacchi, in attentati, in omicidi mirati, quindi in tecniche sicuramente anche terroristiche, questo è innegabile. Ma ciò che è alla base di questo movimento è spesso un desiderio di riscossa e di vendetta nei confronti di continue violazioni che vengono commesse da parte delle forze di polizia e quindi una reazione proprio a questo sistema. Si genera un clima d’odio nei confronti dello Stato che porta ad un perpetuarsi del conflitto che ha luogo in Europa, ma di cui l’Europa spesso si dimentica.(bf)







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