Filippine: oltre mille le vittime del tifone Washi
E’ piena emergenza nelle Filippine. Ha ormai superato quota mille il bilancio delle
vittime causate dal passaggio del tifone Washi. Il presidente Benigno Aquino ha visitato
ieri le zone della costa settentrionale dell'isola di Mindanao, maggiormente interessate
dall’emergenza, e ha proclamato lo stato di calamità nazionale. Le località più colpite
sono Cagayan de Oro e Iligan, dove ora c’è il pericolo di epidemie. Il servizio è
di Stefano Vecchia:
La macchina
degli aiuti ai filippini disastrati è già partita. L’arcivescovo di Cagayan de Oro,
mons. Antonio Ledesma, ha lanciato un appello per raccogliere fondi a favore di dei
disastrati (Coordinate bancarie - Branch: BPI CDO. Account name: Roman Catholic Archbp
of CDO Inc. Account: 9330-0014-42 TNX 4 D. Aid to flood victims). Anche la Conferenza
episcopale italiana ha stanziato un milione di euro, invitando “a pregare e a sostenere
le iniziative di solidarietà promosse da Caritas Italiana”. Sull’emergenza nelle Filippine,
Giada Aquilino ha intervistato padre Sebastiano D’Ambra, missionario
del PIME, fondatore del movimento per il dialogo interreligioso ‘Silsilah’, che si
trova a Zamboanga, nella parte meridionale dell’isola di Mindanao:
R. – E’ una
cosa terribile. Credo che un disastro simile non sia mai avvenuto nella storia di
quella zona, che comprende Iligan e Cagayan: sono due città piuttosto grandi che si
stanno sviluppando. Purtroppo, la catastrofe ha assunto dimensioni così ampie perché
è successo tutto di notte e la gente è stata colta di sorpresa; alcune persone probabilmente
stavano dormendo, si sono ritrovate nel fango e così sono morte. Ora si sta cercando
di ritrovare i corpi. Addirittura oggi ho letto sul giornale una polemica secondo
cui, per fare in fretta, si devono seppellire i corpi nelle fosse comuni, perché c’è
pericolo di epidemie. Alcuni invece dicono di dare almeno una degna sepoltura ai morti.
Siamo in questa situazione d’emergenza. E’ veramente una cosa terribile, anche perché
normalmente i tifoni non passano da Mindanao, che è una zona piuttosto protetta; i
disastri maggiori avvengono nel Nord delle Filippine, a Luzon, dove passano i tifoni.
Quello che è successo, e che fa riflettere molto, è che lo sviluppo selvaggio e la
deforestazione hanno provocato tutto questo: le acque dei monti vicini hanno ingrossato
i due fiumi che attraversano le città e in poche ore hanno distrutto tutto.
D.
– Cosa serve ora alla popolazione di Mindanao?
R. – Di solito, quando
succedono queste cose un po’ tutti aiutano nei primi momenti. C’è bisogno di cibo,
di acqua potabile, di vestiti, di medicine…
D. – Com’è impegnata la
Chiesa locale?
R. – Conosco l’arcivescovo di Cagayan de Oro, mons. Antonio
J. Ledesma: è molto bravo e da sempre impegnato nel sociale. So che lui ha già lanciato
degli appelli, dando notizie sui morti e sulla situazione in generale. Cagayan è un’arcidiocesi
e Iligan è una diocesi. In particolare Cagayan si stava sviluppando bene in tutti
i sensi: adesso si dovrà ricominciare tutto.
D. – Lei da anni è impegnato
nel dialogo interreligioso. Come il dialogo può essere anche una strada per ricominciare
dopo questo disastro?
R. – Nella sofferenza, le persone si uniscono.
Quella è una zona a maggioranza cristiana, anche se c’è una forte presenza musulmana.
Adesso sono sicuro che la gente – a prescindere dal fatto che sia musulmana o cristiana
– sarà più unita. In questo momento stanno arrivando aiuti da diverse parti. Dopo
le risposte immediate, comincerà il problema della ricostruzione delle case. Noi,
poi, ci siamo impegnati ad aiutare alcuni orfani i cui genitori sono morti. Ma c’è
tantissimo da fare: è il tempo di rimboccarsi le maniche. (gf)