L'abbraccio del Papa ai detenuti di Rebibbia. Il cardinale Vallini: un segno indelebile
in tanti cuori
“Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Con queste parole dell’evangelista Matteo,
in cui Gesù s’identifica con i detenuti, Benedetto XVI ha illustrato ieri ai reclusi
nel carcere romano di Rebibbia il senso della sua visita. Un evento storico che ha
coinvolto emotivamente e toccato nel profondo tutti coloro che vi hanno partecipato,
a partire dal cardinale vicario, Agostino Vallini. Il suo commento e quello di altri
protagonisti nel servizio di Roberta Barbi:
Un appuntamento
importante e commovente, quello che ha portato ieri Benedetto XVI tra i detenuti,
e che ha toccato i cuori di tutti: reclusi, personale, autorità e ha emozionato anche
il Santo Padre, che ha stretto mani, carezzato volti, abbracciato persone, ha pronunciato
parole di perdono a quanti gli hanno espresso la loro ansia di riconciliazione con
il mondo, pur nella consapevolezza delle sofferenze inflitte agli altri. Ha offerto
conforto a quanti chiedono alla società di non essere identificati per sempre con
il male che hanno causato, ha risposto alle loro domande, annunciando l’amore infinito
di Dio che non viene mai meno per nessuno dei suoi figli. Una visita che lascerà un
segno di grande coraggio, speranza e fiducia, quella del Papa, che ha rivolto ai detenuti
un invito a crescere nella fede, ricordando che solo nel Signore l’uomo può ritrovare
le sue vere radici e costruire se stesso. Un primo bilancio, a "caldo", sulla visita
da parte del cardinale vicario Agostino Vallini, è stato raccolto
da Davide Dionisi:
“È stata una visita ricchissima, direi
commovente. Il Santo Padre ha vissuto questa esperienza con molta intensità e con
lui tutti noi e direi soprattutto i detenuti, che hanno visto nel volto affettuoso
del Papa la presenza di Gesù. Le cose che ha detto ai detenuti, ma anche quello che
ha ascoltato dai detenuti, sono state un’esperienza di comunicazione intensa e profonda
che porterà certamente i suoi grandi frutti”.
La visita del Santo Padre
a Rebibbia ha rappresentato la realizzazione di un sogno, per il cappellano del carcere,
don Pier Sandro Spriano, che si aspettava tanta commossa partecipazione
da parte dei detenuti e delle guardie carcerarie: una presenza che si rinnova ogni
domenica nella celebrazione dell’Eucaristia a Rebibbia. E una commozione che – assicura
– riporterà di cella in cella nei prossimi mesi, quando consegnerà i 1700 rosari e
le altrettante preghiere che Benedetto XVI ha lasciato a ognuno dei detenuti che non
hanno potuto partecipare di persona: un segno della vicinanza del Papa, che li incoraggia
a proseguire il proprio cammino di vita lasciandosi finalmente alle spalle gli errori
del passato, come il cappellano auspica al microfono del nostro collega, Davide
Dionisi che gli ha chiesto di riassumere in una parola la giornata di ieri:
“È
stata davvero una ‘giornata di Avvento’, nel senso che le nostre speranze di poter
incontrare quest’uomo, che è il nostro vescovo, erano tante. È venuto, ed è stata
una quarta Domenica di Avvento davvero piena, che ci ha portato davvero molta speranza”.
Il
Papa, durante la visita, ha parlato del significato della giustizia divina, a volte
lontana da quella umana, perché in Dio “giustizia e carità coincidono e non c’è un’azione
giusta che non sia anche un atto di misericordia e di perdono”. L’idea della salvaguardia
della dignità umana, pur in un contesto a volte degradante come quello carcerario,
che il Santo Padre ha sottolineato con forza, ha colpito particolarmente il capo del
Dipartimento della polizia penitenziaria, Franco Ionta, che ha
raccontato a Davide Dionisi, qual è stato, per lui, il momento più emozionante della
giornata di ieri:
“Sicuramente, l’arrivo del Papa in una struttura penitenziaria
è un momento irripetibile. Il momento che mi ha emozionato di più è stata la possibilità
di scambiare delle parole, non dico in confidenza, però in ambiente riservato, subito
dopo la cerimonia ufficiale. Ho trovato il Santo Padre una persona di livello eccezionale
ma soprattutto con un tratto di umanità e di sensibilità per l’ambiente penitenziario,
dunque sia verso i detenuti sia verso il personale, che mi ha veramente commosso”.